Il tema può non piacere. E financo essere considerato superfluo rispetto alle tante emergenze che segnano il vissuto quotidiano dei sardi, a cominciare dalla sanità che non cura per continuare con i giovani costretti a lasciare l’Isola, perché questo pezzetto di mondo non offre granché. Tuttavia sulle regole del voto si fonda ogni democrazia. La partecipazione è un valore che ogni cittadino ha il dovere di difendere. In questo solco si colloca la proposta che diciassette sigle – tra partiti, movimenti e sindacati – stanno sostenendo da svariate settimane con l’obiettivo di correggere, almeno in parte, la legge elettorale del 2013.

Il Comitato si chiama “Ricostruiamo la democrazia”. Hanno aderito Sardegna chiama Sardegna; Sinistra Futura; Sardegna Possibile; Liberu - Lìberos Rispetados Uguales; Rifondazione Comunista Sardegna; Sardigna Natzione Indipendentzia; ProgReS - Progetu Repùblica de Sardigna; Potere al Popolo - Sardegna; Autonomie e Ambiente; Usb Federazione del sociale Sardegna; Confederazione sindacale sarda; Unigicom – Unioni de sos giovines comunistas; Comitato Quartu No Tyrrhenian link; Comitato Su entu nostu; Generazione Italie; Socialismo Diritti e Riforme.

L’altro giorno è stato annunciato «l’avvio del percorso partecipativo» che andrà avanti per mesi e  si snoda su due direttrici: da un lato far conoscere «i limiti» del sistema elettorale attuale e aprire, per un altro verso, il confronto sul nuovo modello legislativo, di cui sono già state date ampie indicazioni. Perché in Sardegna, inutile negarlo, c’è un problema grande così di rappresentanza e di rappresentatività che si ricava innanzitutto dagli sbarramenti sui governatori.

Serve una premessa di metodo: i sardi, a partire dal 2004, possono scegliere il proprio presidente della Regione. Che si candida, che fa la campagna elettorale, che ci mette la faccia all’ora di fare promesse. È l’elezione diretta, a differenza del passato quando erano i consiglieri regionali, ovvero i delegati dal popolo, a stabilire chi dovesse tenere il timone. Da ventuno anni, invece, sono i cittadini a decidere. Una grandissima conquista. Solo che la legge elettorale del 2013 esclude dall’ingresso in Aula i candidati governatore espressione di liste che non hanno superato il 3 per cento di consensi, sebbene come leader siano andati oltre lo sbarramento fissato al 10 per cento.

La vicenda porta dritti al 2014, una delle tornate elettorali più drammatiche nell’Isola. Il centrodestra cercò, a tempo quasi scaduto, di affossare il Ppr. Il tutto mentre nel campo avversario i partiti alleati del Pd (con il beneplacito degli stessi dem) si opposero alla corsa di Francesca Barracciu che pure aveva vinto le Primarie. A sparigliare le carte, la candidatura di Michele Murgia che intercettò quel malcontento verso la politica tradizionale e portò a casa qualcosa come 76mila preferenze. Era il vento indipendentista contro le grandi coalizioni che, non a caso, a novembre del 2013 votarono insieme la nuova legge elettorale pensate per difendere quello schema politico. Era lo strenuo tentativo di fermare, per via normativa, i “disturbatori” di un modello bipolare fondato sull’alternanza. Una volta gli uni, una volta gli altri. La politica in due blocchi. Fuori tutti gli altri.

Murgia, nelle partita tra governatori, aveva superato lo sbarramento del 10 per cento. Precisamente i suoi 76.155 voti valsero 10,32 punti. Un grande risultato, soprattutto non previsto, ma insufficiente, in base alle regole vigenti, per conquistare uno scranno. Per diventare voce di quella quota di sardi che aveva deciso di scommettere sulla proposta alternativa della scrittrice di Cabras, morta per un tumore nell’agosto di due anni fa.

Il Comitato “Ricostruiamo la democrazia” dice sostanzialmente tre cose: «La legge elettorale sarda, di impostazione maggioritaria, ha avuto e ha tuttora un ruolo nel produrre la crescita abnorme dell’astensionismo, la sfiducia nel ruolo dei partiti e delle istituzioni, la tendenza al leaderismo e al personalismo nella politica». Di qui la “ricetta” normativa annunciata. I punti chiave sono: «Eliminare la possibilità del voto disgiunto che favorisce il clientelismo e la personalizzazione della politica; abbassamento delle soglie di sbarramento per le singole liste e le coalizioni; una maggiore rappresentanza politica dei territori marginali, attraverso l’aumento delle circoscrizioni territoriali e la suddivisione delle circoscrizioni maggiori».

Forse basta solo cambiare modificare gli sbarramenti per avere un Consiglio regionale meno “vittima” del bipolarismo.

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