Se una persona si avvale del lavoro di stranieri privi del permesso di soggiorno risponde del reato anche se non ha proceduto all’assunzione di quei lavoratori. Questo perché l’ingaggio da parte di terze persone non può essere l’escamotage che costruisca uno schermo in modo che il datore di lavoro risulti al riparo da ogni responsabilità.

Dunque, la norma che indica gli elementi del reato di “occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno” non dice che, affinché sia configurabile il delitto, il datore di lavoro debba avere personalmente assunto lo straniero irregolare.

Ecco perché un Tribunale ha correttamente attribuito la qualifica di datore di lavoro a una persona che in concreto si è avvalsa dell’attività del lavoratore privo di permesso di soggiorno.

La sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione che certifica questo principio è recente.

Il verdetto da cui si parte è quello in base al quale  un uomo è stato ritenuto colpevole del reato per aver dato lavoro a due clandestini: i giudici di merito hanno condannato l’imputato nonostante sia stato accertato che lo stesso, contrariamente a quanto affermato dalla fattispecie incriminatrice contestata - che configura un reato proprio - non era il datore di lavoro dei soggetti privi di permesso di soggiorno. Si evinceva dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di un testimone che l’imputato risultava un semplice dipendente con mansioni di autista regolarmente assunto da un'altra persona, che è stata sottoposta a un separato processo.

Il ricorso dell’imputato però è stato rigettato dalla Cassazione, così confermando la decisione dei giudici. In sostanza: secondo gli Ermellini è vero che il reato può essere commesso solo dal datore di lavoro. Dunque non può risponderne un committente di opere affidate a una persona che, a sua volta, ingaggia il lavoratore extracomunitario. L’assunzione o l’ingaggio fatti da terze persone, però, non possono fungere da schermo per porre il datore di lavoro al riparo da ogni responsabilità, e ciò perché la fattispecie descrive la condotta illecita nell’occupare alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno. Quindi, la norma non pretende affatto – perché ci sia il delitto – che il datore di lavoro abbia personalmente assunto o ingaggiato lo straniero irregolare. E allora, risponde del reato di occupazione di lavoratori dipendenti stranieri privi del permesso di soggiorno non soltanto colui che procede all’assunzione dei lavoratori, ma anche colui che, pur non avendo provveduto direttamente all’assunzione, se ne avvalga tenendoli alle sue dipendenze.

La sentenza impugnata, scrivono i giudici della Cassazione, non si è discostata dalla corretta interpretazione della norma incriminatrice. Ha infatti attribuito la qualifica di datore di lavoro all’imputato dando per accertato, sulla scorta delle dichiarazioni rese da uno degli extracomunitari privi di permesso di soggiorno e di quanto affermato dal testimone, la cui deposizione non è stata ignorata né travisata, che lo stesso, pur essendo contrattualmente obbligato all’esecuzione di un contratto di appalto in favore di un altro soggetto committente, avente a oggetto la distribuzione di volantini pubblicitari, nei rapporti con i soggetti irregolarmente presenti nel territorio nazionale e incaricati della materiale esecuzione del servizio, aveva sempre operato in piena autonomia al pari di un appaltatore. Si era sistematicamente occupato di controllarne la prestazione e di impartire le direttive necessarie alla sua esecuzione e aveva corrisposto la retribuzione al termine di ogni giornata lavorativa. In definitiva, scrive la Cassazione, la qualifica di datore di lavoro è stata correttamente attribuita a colui che, in concreto, si è avvalso in modo diretto dell’attività lavorativa delle persone prive del permesso di soggiorno.

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