Gli eleganti disegni blu cobalto, impressi a rilievo nella maiolica, sono un viaggio nella bellezza e nella tradizione dell’antica Viterbo. La bottega è uno scrigno d’arte, nel cuore medioevale della città, dove la padrona di casa accoglie clienti e visitatori con l’affabilità della sua terra, ovvero la Sardegna. Daniela Lai è di Domusnovas. Legame forte, nonostante da 40 anni viva a Viterbo, cioè da quando la famiglia ha seguito il padre emigrato. Lei, studi all’istituto d’arte di Civita Castellana, centro di antica tradizione ceramica, frequenta l’Ars Italica di Viterbo e diventa esperta di restauro. Venticinque anni fa assieme ad altre quattro artigiane mette in piedi una cooperativa che si occupa della bottega con una scommessa importante: far rivivere l’antica ceramica di Viterbo, rara e raffinata, recuperando la tecnica della zaffera, sviluppatasi tra la fine del Trecento e la metà del Quattrocento.

La sperimentazione è d’obbligo: fa anche pittura su peperino, la roccia magmatica locale. La ceramica con i colori blu cobalto va oltre la professione, diventa per lei una passione sconfinata. Arrivano anche i riconoscimenti e l’impegno nella Cna: per otto anni è presidente provinciale dell’artigianato artistico a Viterbo e Civitavecchia, oggi è componente del direttivo nazionale dei ceramisti della Cna e presidente per il Lazio ed è anche consigliera della Camera di commercio di Viterbo e Rieti. Strada facendo la coop si scioglie, ma lei resta. Ora è una delle poche interpreti di quest’arte bella e apprezzata, tanto da poterla ammirare nei più prestigiosi musei del mondo: dal Louvre all’Ermitage, al Metropolitan di New York. «Ho pensato di provare da sola, è andata bene nonostante abbia solo due mani», sorride mentre racconta la sua esperienza e i pregi della ceramica viterbese che ha tanto studiato fino a diventarne una vera ambasciatrice. «Di questa tradizione si perde traccia nel 1450, perché la tecnica è dispendiosa e difficoltosa. Molti manufatti originali, durante la peste, finiscono nei “butti”, cioè nei pozzi di scarico di cui ogni abitazione era dotata. La gente se ne disfava per bloccare i contagi, assieme ai vestiti. Lì sono rimasti per secoli. Sono stati ritrovati alla fine dell’Ottocento, molti ancora integri. A quel punto è iniziato lo studio con il recupero dell’antica zaffera».

La ceramica tradizionale di Viterbo con i decori blu cobalto (foto concessa)
La ceramica tradizionale di Viterbo con i decori blu cobalto (foto concessa)
La ceramica tradizionale di Viterbo con i decori blu cobalto (foto concessa)

In origine il colore era intinto nell’ossido di cobalto, cosiddetto oriental zafir da cui ha preso il nome. Il decoro prezioso ha successo negli ambienti più colti della Viterbo medioevale. «L’ipotesi che la zaffera costituisca un genere di pregio trova una conferma nella esiguità relativa alle testimonianze archeologiche», spiega Daniela Lai. Attorno a lei brocche e vasi, piatti e lampade, piastrelle e altri oggetti d’arredo, il fascino della bottega dove la sua arte prende forma. «Gli elementi decorativi ricorrenti e fortemente simbolici sono i pesci che rappresentano la prosperità e la cristianità, i cani che sono immagine di fedeltà, gli uccelli simbolo di pace, armonia e serenità, figure antropomorfe apotropaiche, leoni rampanti simbolo di potere, emblemi araldici spesso contornati da foglie di quercia, albero sacro emblema di forza».

La bottega nel quartiere medioevale di Viterbo (foto concessa)
La bottega nel quartiere medioevale di Viterbo (foto concessa)
La bottega nel quartiere medioevale di Viterbo (foto concessa)

Nella bottega in via San Pellegrino, tra i viottoli carichi di storia del borgo antico di Viterbo, gli occhi dei visitatori rimbalzano mentre lei guida il racconto. «Per me è stata una sfida recuperare l’antica tecnica, non c’era nessuno che potesse insegnarla. Ho sperimentato a lungo, ora è diventata un segreto di bottega», spiega. Adesso non c’è più il cobalto da far arrivare dall’Oriente, la chimica fornisce gli elementi base ma la combinazione che fa la differenza è affidata all’abilità artigiana che modella il rilievo pastoso con armonia, evitando l’eccesso che può colare, tracimare e perdersi. «Dopo tanti anni ogni viterbese è orgoglioso della zaffera che è anche un orgoglio italiano», aggiunge. A Viterbo la tradizione regge grazie a tre laboratori, a poca distanza l’uno dall’altro, e all’attività di alcune associazioni e cooperative sociali che promuovono la ceramica anche per finalità terapeutiche.

Piatto con leoni rampanti, realizzati con la tecnica della zaffera (foto concessa)
Piatto con leoni rampanti, realizzati con la tecnica della zaffera (foto concessa)
Piatto con leoni rampanti, realizzati con la tecnica della zaffera (foto concessa)

«Fin da piccola sono sempre stata attratta dall’artigianato, da tutto ciò che si fa e si trasforma», dice Daniela Lai ricordando la mamma e la zia, entrambe sarte a Domusnovas. Nella casa di famiglia è nata la curiosità che, passo dopo passo, l’ha portata a dare nuova vita alla ceramica dimenticata di Viterbo. «Ho assorbito molto dalla mia terra, ho avuto un’esperienza di lavoro al telaio nel laboratorio Argiolas di Domusnovas. La ceramica è arrivata dopo, mi ha conquistato il fascino della trasformazione della materia», dice con un pensiero rivolto alla sua casa di Domusnovas, una tipica costruzione campidanese in mattoni crudi e paglia al centro del paese,  luogo del cuore e delle sue vacanze.​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

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