Colori diversi per tre autoritratti. Fasi della vita che dialogano con vecchie foto in bianco e nero dove saltano fuori il profilo di un nuraghe oppure un gruppo di famiglia ritratto a Orune. Pitture e fotografie sono firmati da Carlo Levi e introducono il visitatore alla mostra allestita al Man di Nuoro. Un percorso intenso, pieno di immagini, colori e riflessioni che suona come un invito alla lettura o alla rilettura del libro “Tutto il miele è finito”, pubblicato nel 1964 dopo i due viaggi in Sardegna dello scrittore già celebre per “Cristo si è fermato a Eboli”. Tanto basta a cogliere la complessità di un autore che concentra in sé diversi interessi: Levi è pittore, scrittore, medico, viaggiatore, militante antifascista e parlamentare, protagonista della storia e della cultura italiana del Novecento. In occasione dei 120 anni dalla nascita, avvenuta a Torino nel 1902, Nuoro ospita un’esposizione intitolata non a caso “Carlo Levi: tutto il miele è finito La Sardegna, la pittura”, occasione per ricostruire il rapporto tra l’artista e l’Isola, visitata nel maggio 1952 e nel dicembre 1962, e per immergersi nella sua pittura con opere che vanno dal 1925 agli anni Settanta.

Autoritratti di Carlo Levi esposti al Man di Nuoro (foto M. O.)
Autoritratti di Carlo Levi esposti al Man di Nuoro (foto M. O.)
Autoritratti di Carlo Levi esposti al Man di Nuoro (foto M. O.)

La sequenza di autoritratti introduce il viaggio, assieme alla litografia intitolata “Il miele di Orune” e aiuta a cogliere la familiarità dell’artista con la Sardegna, soprattutto quella più interna. Levi viene in Sardegna anche grazie all’amicizia che lo lega a Emilio Lussu: li accomuna la militanza antifascista in Giustizia e Libertà e poi nel Partito d’Azione. Lo scrittore segue anche altre voci autorevoli che lo guidano nel suo viaggio alla scoperta di una terra che ai suoi occhi appare arcaica, ma intrecciata con la contemporaneità. Tra questi l’archeologo Giovanni Lilliu e il suo allievo, Giovanni Godeval Davoli, l’avvocato Gonario Pinna, il giurista Antonio Pigliaru, l’antropologo Franco Cagnetta. Lui fa tappa a Cagliari, Orosei, Orune, Dorgali.

Una vetrina propone i primi reportage dello scrittore-inviato sull’isola, pubblicati sulla rivista “L’Illustrazione Italiana” e sul quotidiano “La Stampa”, riproponendo parte degli articoli poi confluiti nel libro del 1964, edito da Einaudi. Ci sono anche fotografie dell’inedito “Album di viaggio Carlo Levi in Sardegna” del 1952 che fanno emergere un ulteriore versante del suo rapporto con le immagini e il paesaggio. Questo nucleo prezioso, conservato nel Fondo fotografico della Fondazione “Carlo Levi” di Roma, viene proposto assieme agli scatti di celebri fotoreporter come Federico Patellani e l’ungherese János Reismann che, giunto in Sardegna nel 1959 grazie alle indicazioni del deputato socialista Mario Berlinguer, realizza tante foto che saranno poi utilizzate per l’edizione tedesca di “Tutto il miele è finito”.

Nei viaggi in Sardegna Carlo Levi non si dedica alla pittura anche se inizia a dipingere paesaggi già a metà degli anni Venti quando - fa notare Giorgina Bertolino, autrice del libro-catalogo sulla mostra arricchito da tanti saggi - «il paesaggio, considerato genere minore, funzionava anche come forma di resistenza all’iconografia propugnata dal fascismo, incardinata sulla pittura di figura». Accanto ai paesaggi tanti ritratti, da quelli della madre ad Emilio Lussu e Italo Calvino, e altrettanti autoritratti. «Il ritratto è per questo artista una reciprocità: consiste nell’occhio che vede ed è visto», sottolinea Bertolino. Levi, già nei primi anni Venti, una volta abbandonata la professione di medico, deciso a intraprendere la pittura, si dedica proprio ai ritratti. «Il ritratto è per lui un’inclinazione, una postura affettiva, cognitiva, etica e politica», annota Bertolino richiamando le parole dell’artista: «Il potere non comporta il ritratto. Il ritratto è l’opposto del potere». Così sin da subito dipinge se stesso, la madre e il padre, gli amici e gli amori. E riflette sul ritratto quando è in carcere a Regina Coeli, nel luglio del 1935, in attesa della sentenza che lo manderà poi al confino in Lucania. «Se la prima immagine è quella di sé come altro, il ritratto è l’immagine dell’altro come se stesso», scrive.

Levi è in carcere a Torino nel 1934 per sospetta appartenenza a Giustizia e Libertà. Nel 1935 il secondo arresto che da Roma lo porterà al confino in Lucania dove scrive, dipinge e fa anche il medico. Un’attività fondamentale per entrare in contatto con la comunità, come emerge da “Cristo si è fermato a Eboli”. La sua pittura cambia, la tavolozza dei colori, per esempio, si estende dal giallo al violetto.

La guerra, opera di Carlo Levi esposta al Man (foto M. O.)
La guerra, opera di Carlo Levi esposta al Man (foto M. O.)
La guerra, opera di Carlo Levi esposta al Man (foto M. O.)

Nella mostra di Nuoro ci sono le città di Levi, come Torino, Parigi, Alassio in Liguria dove peraltro dipinge nel giardino della sua casa. La pittura, che in tutte le fasi è per lui un diario, si allarga a raccontare la brutalità della guerra e dei bombardamenti, la Liberazione, gli incontri, le persone, i giardini, gli alberi. Accanto a tanti dipinti la mostra presenta per la prima volta in Italia 12 carte appartenenti al ciclo della cecità. Si tratta di disegni realizzati nel 1973 quando scriveva “Quaderno a cancelli”, pubblicato postumo dopo la morte avvenuta nel 1975. Erano stati concepiti al buio, lasciandosi andare alla memoria e all’inconscio.

Una sala della mostra (foto M. O.)
Una sala della mostra (foto M. O.)
Una sala della mostra (foto M. O.)

La mostra di Nuoro, che si avvale della collaborazione della Fondazione “Carlo Levi” di Roma e dei prestiti di musei, collezioni pubbliche e private, è arricchita dal progetto artistico di Vittoria Soddu, prodotto da Fondazione Sardegna Film Commission: un lavoro audio e video concepito come rilettura e interpretazione nel presente di “Tutto il miele è finito”.​​​​​​​​​​​​​​

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