Il mantra, per chi può permetterselo in tempi di pandemia, sta prendendo piede: “risparmiare su tutto, ma non a tavola”. Mai come in passato, infatti, i riflettori sono stati puntati sulla salute collettiva e così gli italiani si sono improvvisamente ricordati che per preservarla è fondamentale tenere sott’occhio anche ciò che si mangia. E poco importa se il cibo sano spesso costi di più di quello industriale infarcito di coloranti e conservanti, la voglia di prendersi cura di se stessi è ormai una priorità. 

Basta guardare le ultime tendenze dell’anno appena concluso: “Il 2021 ha sancito un’ulteriore crescita per il biologico italiano, con un aumento del 7% e un volume d’affari complessivo di 7,5 miliardi di euro – ha spiegato Andrea Michele Tiso, presidente nazionale Confeuro. Si tratta di una tendenza che merita attenzione, perché ha preso forma nel pieno della crisi sanitaria. La capacità di attrazione del comparto non è stata intaccata dall’emergenza. Al contrario, quest’ultima ha probabilmente spinto i consumatori ad acquistare cibo prodotto con metodi sostenibili».

Scelte di massa

Il fulcro attorno al quale il comparto biologico deve ruotare, secondo Tirso, è proprio questo: “La transizione verde dell’agricoltura può avvenire anche, se non soprattutto, grazie a questa spinta che viene dal basso attraverso la domanda crescente del grande pubblico”.

Certo, qualcuno potrà affermare esattamente il contrario: perché sborsare più soldi per mangiare prodotti biologici se a malapena posso pagare le bollette e l’affitto a fine mese?

Argomentazioni ineccepibili, che confermano però che la “rivoluzione bio” non può certo contagiare subito le masse, ma comunque innescare un processo virtuoso in un momento economicamente difficile che ci ha ricordato la fragilità della nostra salute e l’importanza di preservarla al meglio delle nostre possibilità.

E l’Italia sembra essere per una volta capofila di un movimento mondiale salutista. Il Belpaese è infatti il primo europeo per numero di aziende impegnate nel biologico: ben 70mila per 2 milioni di ettari coltivati. Tutte tra l’altro in attesa che il governo si compatti nel varo di una legge che istituisca un marchio per contrassegnare il biologico italiano, che sarà tale solo se ottenuto esclusivamente con materie prime nazionali.

Questione di soldi

E ritornando al nodo economico della questione, i costi di produzione più elevati e di conseguenza i prezzi al consumatore non certo paragonabili a quelli del discount potranno essere un freno solo per poco.

L’ultimo rapporto stilato da Coldiretti/Censis sulle abitudini alimentari degli italiani nel post Covid ha rivelato infatti che l’88% degli italiani è disposto a pagare di più per il cibo sostenibile che non inquina, prodotto con logica da economia circolare. Ma non solo: l’83% lo farebbe per avere prodotti tracciabili e il 73% per acquistare una specialità proveniente da un determinato territorio.

“Nonostante campagne di marketing aggressive che cercano di far passare come green alimenti ipertecnologici – hanno avvertito Coldiretti/Censis -, in tempo di pandemia gli italiani continuano ad identificare il cibo sostenibile con quello tipicamente italiano. Non a caso, nella scelta degli acquisti la social reputation delle aziende produttrici è importante per il 90% dei consumatori, e per il 50% di questi decisiva, con la componente essenziale della buona reputazione che viene identificata nella sua territorialità”.

Tuttavia, lo scoglio più difficile da superare per convincere anche i più scettici è di sicuro quello della disinformazione. Il mercato biologico è salito talmente alla ribalta e va così per la maggiore che le grandi multinazionali vogliono subito prendersene una fetta in attesa di mangiarsi l’intera torta in un futuro non troppo lontano. Ecco perché spuntano sugli scaffali dei supermercati prodotti con confezioni ed etichette che strizzano l’occhio all’agricoltura green senza però abbracciarne nella sostanza la filosofia. Siamo quindi nel pieno di una guerra di immagine che rischia di confondere il consumatore e che deve essere combattuta, e vinta, subito da produttori e aziende che sulla rivoluzione green a tavola hanno puntato fin dall’inizio.

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