Aveva aperto il corteo solenne che il 20 giugno 1959 deponeva le spoglie di Grazia Deledda, traslate da Roma, nella tomba all’interno della chiesa della Solitudine, a Nuoro, dove ancora riposano. Lui, Raimondo Calvisi, diventato poi monsignore, era al tempo parroco e abitava in tre stanzette a fianco di quel piccolo tempio ai piedi del monte Ortobene. Ma il suo nome nella storia della Chiesa di Barbagia non è legato alla cerimonia in ricordo della scrittrice premio Nobel anche se nell’anno delle celebrazioni deleddiane per i 150 anni dalla nascita è un pensiero quasi dovuto. Piuttosto alla fondazione in Sardegna dello scoutismo e ancora di più ai suoi cinque libri che raccontano riti estinti, tradizioni popolari perdute come il ballo dell’argia o la cena delle anime, figure incredibili come “s’accabbadora”, il mondo magico e leggendario. Letture da sempre irrinunciabili per gli studiosi di etnografia che dalle sue opere, pubblicate tra il 1966 e il 1976 dalla casa editrice Fossataro di Sassari, hanno attinto alla grande trovando racconti e testimonianze preziose, ricostruzioni accurate, dialoghi efficaci, personaggi, oggetti, ex voto, feste, poesie, detti, rituali fondamentali per capire tante dinamiche, sociali e culturali, del passato. Un patrimonio vasto e incredibile, tradotto per iscritto dalla narrazione orale di cui lui, nato a Bitti nel 1892 e morto nel 1978, curato di campagna a Lula, Olzai, Siniscola, Nuoro, è stato testimone attento quasi fosse uno scrupoloso ricercatore.

Monsignor Raimondo Calvisi (foto dal libro)
Monsignor Raimondo Calvisi (foto dal libro)
Monsignor Raimondo Calvisi (foto dal libro)

Il libro d’esordio si apre con “La festa di Alarvè” che identifica Lollove, borgo di Nuoro di cui don Calvisi era stato parroco. Alla processione in onore di san Biagio esplode la guerra tra due fazioni, c’è una sparatoria, un fuggi fuggi generale. Il sacerdote resta finché può, ma capisce bene che la situazione è ad altro rischio. Prima di abbandonare il campo, però, invoca il santo dicendo in limba: «Se anche vi tagliassero la testa, la vostra si potrebbe fare nuova. La mia no». Uno dei racconti più irresistibili è “Su ballu ‘e s’arza”. Spiega il prete-etnografo: «Una tradizione secolare considerava questo rimedio infallibile contro il morso dell’arza. Si formava un corteo al quale partecipavano, in numero fisso, sette vedove, sette spose, sette zitelle scelte in precedenza: e una più o meno folta folla di uomini destinati ad essere semplici comparse, ma comunque indispensabili anch’essi».

Quei libri, da tempo introvabili se non, in casi fortunati, nei mercatini dell’antiquariato, rivivono adesso grazie a una nuova iniziativa dell’editore Carlo Delfino, curata dal nipote del sacerdote, Diego Casu, e dallo scrittore Natalino Piras. Fresco di stampa è il primo volume che rispetta titolo e impostazione originali: “Storie e testimonianze di vita barbaricina” con le illustrazioni di Giovanni Canu e prefazione di Raffaelllo Marchi, intellettuale e antropologo, che con acume nel 1966 sottolinea: «È forse la prima volta in Sardegna che la vita popolare è vista dal basso e dall’interno, a un grado d’immedesimazione, fra il testimoniante e la cosa testimoniata, che sembrerebbe escludere ogni distacco e perfino quei limiti, inerenti al ministero sacerdotale, e alla dottrina, alla morale, soprattutto alla fede unica e accertata dell’autore, che proprio in questo caso non potrebbero a rigore essere esclusi».

Il disegno di Giovanni Canu sul\u00A0libro Calvisi del 1966
Il disegno di Giovanni Canu sul\u00A0libro Calvisi del 1966
Il disegno di Giovanni Canu sul libro Calvisi del 1966

Spiegano Pira e Casu nella presentazione della nuova edizione dal titolo “Sa paraula e sos libros”: «I cinque libri sono insieme memoria del tempo magico, racconto di un’esperienza e indagine antropologica». Raimondo Calvisi amava le omelie brevi e concise, latinista senza però volere il latino nelle messe, gli piaceva stare in mezzo alla gente. «Prete conciliare, giovanneo, umile ma anche consapevole del suo valore di ricercatore e scrittore», viene definito dagli autori che curano la pubblicazione dell’opera omnia aggiungendo un sesto volume che raccoglie altri scritti. Nei primi anni Venti, Calvisi a Nuoro è animatore degli scouts: fonda la seconda sezione in Sardegna. Nel 1926 lo scoutismo, però, diventa fuori legge. Rinasce nel 1946: lui ne è sempre l’animatore. È parroco tra Barbagia e Baronia, affina conoscenze, coglie i cambiamenti in atto e inizia ad annotare tutto quello che può. I suoi cinque libri restano ancora oggi un punto di riferimento per gli studiosi, a partire dall’autorevole Clara Gallini. Spiegano Piras e Casu: «Nel decennio dal 1965 al 1975 vi è stato in Italia e in Sardegna un cambiamento epocale in campo sociale, culturale ed economico. Monsignor Calvisi ha avvertito per tempo quel cambiamento che poteva portare all’oblio di quella tradizione orale e le ha dato forma scritta». E ancora: «In Raimondo Calvisi convivono l’uomo e il prete, il curato di campagna come mediatore tra alta e bassa cultura e l’autodidatta alla scienza antropologica, orditore di trame degne dei suoi personaggi e acuto scavatore di psicologie di gente altrimenti rude, di tenace concetto nel rispettare ma pure nel rompere patti di leggi non scritte della società tradizionale». Insomma, una figura da riscoprire per ritrovare un mondo perduto e soprattutto per rigenerarne la memoria.

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