Ventun’anni e non sentirli. Anzi, calzare perfettamente quel titolo “La meglio gioventù” – mutuato da una raccolta di poesia di Pier Paolo Pasolini e dal verso di una canzone della brigata alpina Julia - diventato un simbolo. Il film di Marco Tullio Giordana, uscito nel 2003, è approdato quest’estate sulla piattaforma Netflix alla conquista di un pubblico che vent’anni fa era troppo giovane (o distratto). Un film che ha segnato un’epoca, anticipando – e di parecchio - la connessione tra cinema e serialità, e lanciando o consolidando molti attori di quello che era allora il giovane cinema italiano.

Una mini serie al cinema era quasi un’eresia in quei primi anni Duemila. In Italia per vedere un’operazione simile bisognerà aspettare “La Mafia uccide solo d’estate” con il film di Pif nel 2013 e la serie tre anni dopo o “Esterno notte” di Marco Bellocchio lo scorso anno. “La meglio gioventù” nasce in realtà come una serie tv ma la Rai – dopo qualche incertezza - la trasmetterà in quattro puntate solo dopo il successo cinematografico culminato con la vittoria come miglior film nella sezione Un Certain regard a Cannes (oltre a sei David di Donatello e sette Nastri d’Argento). La prima uscita nella sale nel giugno 2003 in due atti da tre ore, in tv uscirà nel dicembre dello stesso anno e sulla piattaforma Netflix è disponibile nella divisione in quattro puntate.

Il film racconta quasi quarant’anni di vita italiana, dove la storia del Paese si intreccia con quella della famiglia Carati e in particolare dei due fratelli Matteo, studente di Lettere, e Nicola, studente di Medicina e futuro psichiatra, e del loro giro di amici accompagnati da una giovinezza di illusioni e speranze alla maturità. Dentro c’è il Paese: l’alluvione di Firenze e la legge Basaglia, il passaggio dalle contestazioni studentesche al terrorismo, le crisi economiche e la strage di Capaci. La meglio gioventù è nell’incontro tra i due fratelli e una ragazza internata in un ospedale psichiatrico che porterà Nicola sulla strada della rivoluzione della chiusura dei manicomi, negli angeli del fango, nella scelta tra la via politica alla rivoluzione e la P38. Nel cerchio della vita che si ripete con Andrea, figlio di Matteo, che riparte per quel viaggio a Capo Nord con il quale il film era iniziato.

Una pellicola che è stata anche un formidabile trampolino di lancio dal quale sono usciti molti attori oggi al vertice del nostro cinema. Furono scelti tra attori di cinema e di teatro abbattendo anche qui uno steccato come ha raccontato la casting director e aiuto regista Barbara Melega in occasione dei vent’anni dall’uscita. Luigi Lo Cascio che interpreta Nicola aveva già fatto con Giordana “I Cento passi” mentre Alessio Boni, che aveva esperienze prevalentemente televisive indossa i panni del fratello Matteo. Entrambi provenivano dall’Accademia d’arte drammatica. Fabrizio Giffuni, nei panni del futuro economista Carlo Tommasi, e Sonia Bergamasco, che nel film lascia la famiglia e segue la strada del terrorismo, non erano ancora sposati. Jasmine Trinca, giovanissima, aveva appena fatto “La stanza del figlio” con Moretti e non era indirizzata su un futuro certo di attrice, Riccardo Scamarcio era praticamente esordiente e solo qualche anno dopo con “Tre metri sopra il cielo” diventerà una star.

“L’Italia è un paese da distruggere. Un posto bello e inutile destinato a morire. Qui rimane tutto immobile in mano ai dinosauri”. Il dialogo tra il docente e il brillante studente Nicola, invitato a partire e lasciare il Paese, è ambientato nel 1966 e scritto nel 2003. Ventun anni e non sentirli.

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