Ogni tot anni, puntuale, parte una sorta di tormentone sulla 194, la legge che dal 1978 garantisce alle donne il diritto all’aborto. A tutte le donne. Per questo, poggia qui lo stupore che non si può fare a meno di provare ogni qualvolta sulla 194 si accende la contestazione e fioccano proposte di correzione (guarda caso sempre peggiorative). Come se l’interruzione di gravidanza – libera e volontaria – non fosse abbastanza una pietra miliare della civiltà, ma un eccesso di libertà da restringere alla prima occasione.

L’ultima zampata che in ordine di tempo si è allungata sulla 194 porta la firma di FdI, il partito della presidente Giorgia Meloni che nel decreto sul Pnrr (approvato dalla Camera e adesso pronto ad atterrare in Senato per la seconda lettura e il via libera finale) introduce l’ingresso delle associazioni pro-vita nei consultori. I quali – a essere precisi – non sono abortifici, ma strutture sanitarie istituite nel 1975 con la legge 405, quindi ancora prima della 194 e con lo scopo «di intervenire in sostegno alla famiglia o al singolo che vi faccia ricorso». Motivo per cui non c’è bisogno di raddoppiare, con le associazioni pro-vita (e un certo inopportuno integralismo), la contrarietà all’interruzione di gravidanza. Ci sono già gli operatori dei consultori che garantiscono ogni supporto. E di più: è pura ipocrisia sostenere che l’intervento degli anti-abortisti sia spurio ostracismo nei confronti delle donne che decidono di ricorrere alla 194. La loro presenza non «serve per migliorare i diritti delle donne», come in Aula dai banchi di FdI hanno difeso l’emendamento inserito nel decreto del Pnrr.

Il Pd, a Montecitorio, si è opposto al partito della Meloni con la presentazione di un ordine del giorno che aveva l’obiettivo di neutralizzare per legge la correzione alla 194 targata Fratelli d’Italia. La linea dem non è passata, l’Odg è stato respinto. Ma la maggioranza si è spaccata, la Lega ha dato libertà di scelta ai propri deputati. È finita che 15 parlamentari del Carroccio, sui 37 che siedono nei banchi della Camera, si sono astenuti, aprendo una crepa nella coalizione di governo, per nulla granitica in fatto di interruzione di gravidanza.

L’aborto è materia divisiva perché l’Italia non è semplicemente una repubblica parlamentare, ma anche un’appendice del Vaticano. Il peso della Chiesa, malgrado la laicità dello Stato, è enorme nelle scelte individuali. Sin qui, però, nessun particolare problema: un Paese civile è anche quello che garantisce la libertà di pensiero e di azione su ogni tema. La contrarietà all’aborto è ugualmente un sacrosanto diritto e come tale va difeso, al pari di chi si batte per mantenere intatte le disposizioni della 194. Ovvero, il massimo delle garanzie sull’interruzione di gravidanza.

Il problema è che nella pratica questo assioma sulle ragioni degli uni e degli altri funziona molto meno e perde di linearità: gli anti-abortisti sono talmente convinti delle proprie ragioni, che si auto-attribuiscono una sorta di supremazia. Per loro la difesa della vita merita di prevalere. Invece lo spirito della 194 è proprio l’esatto opposto: fatta salvo il diritto di ogni donna di proseguire la gravidanza, a tutte viene assicurata la possibilità di una scelta diversa. Entro i tre mesi dalla gestazione.

Ecco: nulla è più garantista di uno Stato che asseconda i diritti di tutti i cittadini. Di tutte le donne in questo caso. Di quelle che sono disposte a portare avanti la gravidanza a ogni costo e di quante invece scelgono di abortire. Una società veramente aperta è quella che contempla la doppia possibilità. Una doppia condizione di libertà. E ciò dovrebbe avvenire senza portarsi dietro un’attitudine manichea alla valutazione. Una dicotomia analitica tra bene e male. Tra giusto e sbagliato. Come nell’impostazione cattolica del mondo e in generale di tutte le religioni che si fondano sul dogmatismo.

Il ragionamento deve diventare basico: se una donna, in coscienza, decidere di abortire, qual è la conseguenza per una persona che difende invece una linea pro-vita? La risposta è una sola: la scelta di abortire non incide nella quotidianità degli altri. Né nel breve né nel lungo periodo. Interrompere una gravidanza è una decisione intima e come tale va rispettata. Non è diritto di nessuno ergersi a paladino di fantomatici diritti collettivi, che invero sono individuali. Non si spia dai buchi della serratura. Mai e in alcun caso. Gli anti-abortisti se ne facciano una ragione.

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