Cinque corpi si trovano chiusi da oltre un mese nella camera mortuaria del piccolo cimitero di Domus de Maria, il centro costiero del Sud Sardegna che d’inverno non supera i 1.700 abitanti e d’estate esplode di turisti provenienti da tutti il mondo che restano folgorati dallo splendore delle sue spiagge.

Cinque salme, restituite dal mare e rese irriconoscibili dalla permanenza in acqua. Per settimane sono rimaste senza un nome, classificate solo dalla relazione necroscopica del medico legale: maschi di età approssimativa compresa tra i diciotto ed i venticinque anni, provenienza quasi certamente nordafricana e fisici prestanti. Corpi che erano stati sicuramente di giovani abituati al lavoro, oppure a fare sport, almeno sino a quando il mar Mediterraneo non li ha inghiottiti per giorni, facendoli poi riaffiorare davanti a Capo Spartivento a fine agosto. Dove poi, come in una straziante conta, sono stati avvistati e recuperati. Prima uno. Poi altri due nel giro di qualche ora. Infine gli ultimi a distanza di pochi giorni.

Lentamente, con pazienza e ostinazione, gli investigatori della Direzione distrettuale antimafia di Cagliari sono riusciti ad identificarne alcuni, soprattutto grazie ad alcuni tatuaggi e ad altri segni particolari. Per il momento, però, non ci sarebbe ancora una certezza formalizzata sull'identità di tutti, né una pista investigativa su un presunto traffico di esseri umani che poi è anche l'ipotesi che ha reso possibile l'intervento della Dda. Ma c’è il fondato sospetto che quei cinque corpi senza più la forza della giovinezza siano una piccola parte di un gruppo di diciotto ragazzi, quasi tutti coetanei o giù di lì, partiti assieme da una cittadina del nord della Tunisia per provare a conquistare un futuro migliore in Europa. Nessuno di quel manipolo di ragazzi è mai arrivato a destinazione.

Quando il mare ha iniziato a restituire i corpi dei primi uomini c’era di turno la sostituta procuratrice Rossella Spano. Lei ha ricevuto le prime telefonate di Carabinieri e Guardia Costiera che avevano proceduto al recupero, occupandosi dell’apertura del fascicolo. Il medico legale non aveva avuto dubbi: morte per annegamento. Il giorno dopo è subentrato Nicola Giua Marassi, altro pubblico ministero che ha dovuto chiamare nuovamente il Dipartimento di Medicina legale per mandare qualcuno a Domus de Maria ad esaminare gli altri corpi che venivano recuperati e portati nella piccola camera mortuaria. Alla fine, per raggruppare le indagini, il procuratore di Cagliari, Paolo De Angelis, ha chiesto al sostituto Gaetano Porcu, uno dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia, di occuparsi di quei cinque giovani senza nome. Ipotesi? Traffico di esseri umani. Reato distrettuale, per l'appunto, con un pubblico ministero a coordinare e gli altri due applicati.

La speranza di dare un nome a quelle cinque salme è arrivata dopo alcune settimane di indagini, nei giorni scorsi, quando gli investigatori della Dda cagliaritana hanno raccolto alcuni elementi di una storia angosciante che, in Tunisia, ha fatto piombare nella disperazione diciotto famiglie di Biserta. E’ il capoluogo dell’omonimo governatorato, a circa 65 chilometri da Tunisi: non ha nemmeno 150 mila abitanti, ma è la città più settentrionale di tutto un Continente. A fine agosto – stando alle indiscrezioni che circolano in Procura a Cagliari – da quella cittadina sono salpati diciotto giovani, tutti sui vent’anni. Ognuno di loro aveva un parente o un amico già da tempo arrivato in Europa e ciascuno di essi sognava di attraversare il Mediterraneo per conquistare la speranza di un futuro migliore. Biserta è un centro abitato pressappoco grande quanto Cagliari: se di punto in bianco diciotto ventenni sardi partissero e di colpo svanissero nel nulla, l'intera città entrerebbe in allarme e inizierebbe a chiamare nei luoghi di destinazione, così da avere qualche notizia. E così pare sia accaduto.

Avuta la dritta, gli uomini del pm Porcu si sono attaccati al telefono per contattare prima il Consolato, poi per cercare di trovare i familiari che potessero dare elementi utili al riconoscimento. Alcune delle cinque salme senza nome che riposano ancora nelle celle-frigo di Domus De Maria, tutte recuperate senza vestiti, senza documenti, ma soprattutto con il mare che ne aveva cancellato i volti, hanno così iniziato a parlare grazie ai loro tatuaggi, a ferite rimarginate o segni di piccoli interventi chirurgici. Tatuaggi che rispecchiano quelli sfoggiati da molti cantanti e calciatori famosi, idoli dei giovani europei come dei nordafricani, che da questa parte del Mediterraneo sono già arrivati e hanno trovato fortuna.

E se grazie agli elementi raccolti dagli investigatori oggi qualcuno di quei cinque corpi ha già un nome, per identificarli tutti sarà necessario il Dna: i primi campioni sono già arrivati dalla Tunisia, uno arriverà forse a breve dalla Germania. Da lì, dal cuore dell'Europa, infatti, è in viaggio verso Cagliari una giovane donna, cugina pare di uno dei diciotto fiori di Biserta svaniti nel nulla.

Le indagini sono ancora in corso e, per il momento, nessuno nella Procura nel capoluogo sardo conferma ufficialmente che i cinque corpi – ancora dopo oltre un mese sotto sequestro a Domus de Maria – siano le uniche vittime accertate e recuperate di un terrificante naufragio che ha spazzato via un’intera comitiva di coetanei della stessa città. Un manipolo di temerari che ha deciso di indossare i panni del migrante per sfidare il Mediterraneo e provare a conquistare un futuro migliore sulla riva opposta, potendo contare sulla voglia di lavorare e sulla forza fisica di corpi giovani e ben allenati. Si sarebbero dati appuntamento per salpare una sera di fine agosto, quando il mare per tutto il giorno era stato una tavola, così da superare nel corso di una nottata i nemmeno duecento chilometri che separano Cap Blanc da dalle coste della Sardegna. Da quella sera i loro telefoni sono muti: mai più una chiamata a genitori e sorelle, mai più un messaggio Whatsapp a fidanzate o amiche.

L'intuizione del Procuratore di Cagliari, Paolo De Angelis, quella di affidare alla Dda l'indagine sui cinque morti annegati recuperati dalla Guardia costiera e dai sommozzatori dei Vigili del Fuoco a poca distanza dalle coste di Capo Spartivento, forse non arriverà mai ad accertare la fondatezza dell'ipotesi investigativa iniziale: il traffico di esseri umani. Ma il lavoro incessante del pm Gaetano Porcu - affiancato dai sostituti Spano e Giua Marassi - ha già permesso, o forse di qui a breve permetterà, di dare un nome ad ognuna di quelle cinque salme. Le uniche di quella comitiva di ventenni che il mare ha restituito. Probabilmente non affinché fossero le sole che potranno essere riconsegnate alle famiglie e ricevere una degna sepoltura, ma perché raccontassero che fine hanno fatto anche tutti gli altri. Un'indagine che comunque darà se non tutte, almeno alcune risposte.

E quelle risposte, per quanto terribili e strazianti, per le famiglie disperate restano l'unico appiglio possibile all'angoscia e al silenzio.

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