Toyota ha dovuto tagliare la produzione di settembre del 40%, nel gruppo Volkswagen l'impianto di Wolfsburg, il più grande al mondo e che impiega circa 60.000 persone, è ripartito con un solo turno per soli cinque giorni alla settimana.

L’assenza sul mercato di semiconduttori - il cervello di ogni oggetto tecnologico - sta causando uno shock storico nell’industria dell’automotive, che si stava riprendendo dopo i lunghi mesi di lockdown che avevano fatto crollare produzione e vendite. E del resto il peso dell’elettronica nelle vetture di nuova generazione è di circa il 60%. Senza microchip, oggi, non si va da nessuna parte.

E se i leader del mercato globale piangono, anche tutti gli altri – da General Motors a Hyundai sino a Stellantis – soffrono e iniziano a ridurre la produzione. Ne consegue che a livello mondiale anche tutta la filiera della componentistica per auto, che in Italia ha un peso rilevante, inizia ad avere difficoltà e si temono consistenti cali occupazionali.

La General Motors ha ridotto l’orario dei 5 mila addetti all’assemblaggio della Ford Fiesta, l’Audi ha prolungato le vacanze estive ed ha tagliato la produzione a Ingolstadt e Neckarsulm, Stellantis, ha fermato del tutto l’impianto di Rennes e parzialmente lo stabilimento di Sochaux. In Italia i sindacati lanciano l’allarme: “Lo stabilimento di Pomigliano che sarebbe dovuto ripartire è rimasto chiuso e la crisi di approvvigionamento di componenti elettronici ora colpirà altri stabilimenti a partire dalla Sevel, in Abruzzo”, ha denunciato Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil.

Ma da che cosa dipende la crisi dei chip? Secondo i principali analisti, la causa principale è il taglio delle produzioni deciso a inizio pandemia da gran parte delle aziende che li producono. Contemporaneamente è cresciuta esponenzialmente la domanda di semiconduttori per pc portatili, tablet, tv, consolle e smartphone, la cui vendita ha avuto un boom in tutto il mondo negli ultimi 18 mesi mentre i produttori di auto nel periodo più duro della pandemia avevano quasi azzerato l’attività. Così i microchip se li sono accaparrati le aziende dell’elettronica di consumo, che hanno catene di approvvigionamento flessibili e snelle, e alle case automobilistiche sono rimaste solo le briciole.

Ora tutti si accorgono che occorre investire in questo settore  per realizzare nuove fabbriche che rendano i produttori automobilistici più indipendenti ma gli investimenti necessari sono enormi, superiori ai 10 miliardi per un singolo impianto.

Negli Stati Uniti il governo Biden ha istituito da mesi una task force e starebbe approntando un piano di investimenti da 150 miliardi di dollari che, tuttavia, non produrrà effetti prima di due-tre anni. Gli amministratori delegati di Intel e di Stmicroelectronics, la carenza non è destinata a risolversi prima del 2023. E nel frattempo tutto il mondo continuerà a dipendere da Corea, Taiwan e Cina.

Uno degli effetti immediati è l’aumento dei prezzi dei microchip. Il più grande produttore al mondo, Tsmc, ha alzato i prezzi fino al 20% e ciò con tutta probabilità causerà rincari sui prodotti finali.

Secondo gli esperti di AutoForecast Solutions il taglio complessivo nel 2021  sarà di 7,1 milioni di veicoli. La sola Renault prevede che la mancanza di semiconduttori costi all'azienda circa 200.000 veicoli quest'anno. Gli altri produttori devono ancora pronunciarsi ma è certo che per chi dovrà acquistare un’auto nei prossimi mesi, specie se non sceglie un modello già presente in concessionaria, dovrà attendere a lungo.

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