Na’ tazzulella ‘e cafè in tutto o' pianeta, canterebbe Pino Daniele. Oggi a tutte le latitudini si celebra la giornata mondiale di una bevanda che ogni spicchio di mondo declina in modo diverso: espresso, lungo, au lait, marocchino, e tantissimi altri.

Il consumo

Dati e statistiche sono aggiornati di continuo dall’Organizzazione internazionale del caffè (Ico), nata nel 1963 a Londra con lo stimolo delle Nazioni Unite. Nel sito ufficiale la mission è riassunta così: «Raggruppa i produttori e consumatori di caffè che insieme cooperano a livello internazionale. Gli obiettivi che si prefigge l’Ico riguardano lo sviluppo sostenibile dell’economia mondiale del caffè e il finanziamento di progetti di sviluppo della commercializzazione. Ne fanno parte 77 Paesi membri, che rappresentano oltre il 97 per cento della produzione mondiale del caffè e l’80 per cento del consumo». Qualche numero aiuta a farsi un’idea più precisa: «È la bevanda più diffusa al mondo dopo l’acqua. Ogni giorno, in qualunque angolo del pianeta, si consumano quasi 1,6 miliardi di tazze di caffè. Il Paese dove se ne consuma di più al mondo è la Finlandia, dove ogni cittadino ne beve in media 12 chilogrammi all’anno; in Norvegia 9,9 chilogrammi; in Islanda 9 e in Danimarca 8,7». L’Italia è solo al 13° posto con un consumo medio di 5,8 chili procapite, davanti a Brasile, Germania e Francia.

La “cuccumella”

A Napoli tutto ebbe inizio nel 1771, «quando Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, moglie di Ferdinando di Borbone, introdusse il caffè. Si parla di un ballo tenuto nella Reggia di Caserta, dove fece servire agli invitati una bevanda scura – ricostruiscono sul sito mokaflor.it - Questa bevanda esotica era ormai già ben nota alla corte di Vienna, da dove arrivava Maria Carolina. La storia vuole anche che la nostra tipica usanza da colazione al bar di abbinare la brioche e il caffè derivino da un suggerimento di Maria Antonietta, regina di Francia e sorella di Maria Carolina. Inizialmente preparato con il metodo alla turca, il caffè divenne divenne una bevanda pregiata che ai tempi era riservata solamente all’alta borghesia di Napoli. Di seguito fu poi rimpiazzata dalla nuova invenzione del tecnico francese Morize. Intorno al 1817-1819 fece infatti brevettare quella che i napoletani in seguito chiamarano cuccumella, ovvero la nostra amata caffettiera napoletana». L’invenzione francese era semplice: «La vera rivoluzione di Morize fu che questo nuovo metodo di estrazione per percolazione era sviluppato con materiali a basso costo come il rame e la terracotta. Da qui deriva anche il nome cuccumella. La “Cuccuma” in napoletano significa infatti contenitore in rame o terracotta». A quel punto la strada era in discesa: «Intorno al 1900 arrivarono le versioni in latta, o altri tipi di metallo. Questo diede la possibilità finalmente a tutti, e non solo alla nobiltà, di preparare il caffè in casa. Grazie anche al porto molto ben connesso di Napoli e quindi alla possibilità di introdurre caffè da tutto il mondo, la bevanda fu finalmente e facilmente disponibile per l’intera popolazione». E pian piano ne beneficiò tutt’Italia.

Lo studio

Firmata da un team di ricercatori americani e pubblicata on line su Circulation, una ricerca scientifica sostiene che «un consumo moderato di caffè può ridurre il rischio di morte prematura». Focus ha dato un grande risalto alla tesi sottoscritta dagli esperti dell’Harvard T. Chan School of Public Health: «Le persone che bevono da 3 a 5 tazzine potrebbero avere meno probabilità di morire prematuramente per alcune malattie, rispetto a chi ne beve di meno o per niente. E i benefici non riguardano solo gli integralisti del chicco: anche chi alterna entrambe le tipologie di caffè, quello tradizionale con caffeina e il decaffeinato, guadagna vantaggi tra cui un più basso rischio di morte per malattie cardiovascolari, neurologiche e diabete di tipo 2».

A proposito: vi è venuta voglia di bere un caffè?

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