Primo gennaio 1977, una data che a Orune si ricorda ancora come il Capodanno di sangue. Manca poco più di un'ora alla mezzanotte quando Maria Teresa Moni, 13 anni compiuti da pochi giorni, sente il padre Pietro rientrare a casa insieme a un parente, in via Asproni, nella parte bassa del paese nota come il fosso. La bimba corre loro incontro, sbucando dal portone e finendo proprio sulla traiettoria esatta tracciata da una delle sei fucilate che qualcuno, protetto dal buio, spara da una ventina di metri di distanza, mirando ai due uomini. Un pallettone la raggiunge al petto. Il padre e il parente restano miracolosamente illesi. Maria Teresa, che frequenta la prima D della scuola media, muore all'istante, pare senza un lamento. Vittima innocente dell'assurda e sanguinosa faida che da decenni - e per molti altri anni a venire - insanguina il piccolo paese barbaricino.

Sono passati 44 inverni da quel tragico Capodanno. Quasi mezzo secolo che non ha però cancellato il ricordo di Maria Teresa, il cui delitto non ha mai avuto dei colpevoli "ufficiali". Una bimba solare che si stava affacciando alla vita con l'energia della sua fanciullezza, spensierata, sempre sorridente e incapace di odiare. E che nel suo ultimo tema svolto a scuola - "Il tuo paese com'è e come vorresti che fosse" - aveva scritto parole di pace e di speranza che il compianto e indimenticato collega Gianni Pititu riportò con grande delicatezza nelle cronache dell'epoca. "Nel mio paese ci sono abitudini come, per esempio, rubare il gregge degli altri - scriveva Maria Teresa -. Gli orunesi a me fanno venire il mal di stomaco perché da una briga, ossia da un litigio o da una discussione animata, arrivano a tirare fuori la leppa, cioè il coltello. L'altro risponde con la pistola e fra loro pensano: chie morit morit, chie campat campat. Quando gli orunesi fanno queste cose non pensano alla punizione e si ricorre solo a pagare gli avvocati e certe volte si arrestano gli innocenti e i colpevoli si divertono".

La prima pagina de L'Unione Sarda del 3 gennaio 1977
La prima pagina de L'Unione Sarda del 3 gennaio 1977
La prima pagina de L'Unione Sarda del 3 gennaio 1977

Tutta la lugubre liturgia della disamistade riassunta in poche e semplici frasi.

Che non servirono però a scuotere le coscienze. Dopo la morte di Maria Teresa, a Orune il sangue continuò infatti a scorrere per molti anni ancora. Anzi, il delitto della tredicenne è da molti considerato il punto di non ritorno di una faida che ancora oggi non è considerata definitivamente spenta, seppure molti dei suoi antichi protagonisti ormai non ci siano più.

Una mattanza che ha fatto tanti di quei morti che nessuno ha mai avuto il coraggio di contare per davvero, innescata da una scintilla che in molti fanno risalire a un episodio di 70 anni fa. Esattamente al 1951, quando l'omicidio di Salvatore Chessa avrebbe rotto la pace tra due grandi famiglie dal parentado molto esteso, potenti e rispettate. Fra le cause gli inquirenti ipotizzarono un sequestro di persona finito male per i rapitori, con l'ostaggio che riuscì a liberarsi. Di certo c'è che da lì in poi, le campane suonarono a morto una infinità di altre volte.

Inquirenti sul luogo di un omicidio a Orune (foto archivio Unione Sarda)
Inquirenti sul luogo di un omicidio a Orune (foto archivio Unione Sarda)
Inquirenti sul luogo di un omicidio a Orune (foto archivio Unione Sarda)

Due clan familiari che si scontrano, il sangue che chiama altro sangue. Sembra una geometria semplice quella della faida ma a Orune nulla è semplice, perché in questo paese di 2260 abitanti che ispirò ad Antonio Pigliaru il Codice della vendetta, nei decenni l'odio si diffuse come l'erba gramigna, disperdendosi in mille rivoli, in tante piccole disamistades parallele ognuna con la sua quota di cadaveri già seppelliti e altri ancora da seppellire. E dove bastava un nonnulla, una parola di troppo o uno sguardo sbagliato, il furto di qualche pecora, per rompere i fragili equilibri precedenti, scatenando nuove ondate di rancori incrociati. «Vorrei che il mio paese diventasse più civile, che non ci siano differenze fra gli uomini e le donne e che i bambini non debbano più giocare negli immondezzai ma in un asilo nido o in un piccolo parco giochi». Il tema di Maria Teresa Moni si concludeva così. Da allora a Orune molto è cambiato. Ma non tutto. La clessidra della faida è ferma da ormai due anni, quando i pallettoni delle vendetta non riuscirono però a completare l'ennesima missione di morte. Se sia solo una tregua, nessuno lo sa.
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