Non un corpo massiccio e solido come ci si aspetterebbe ma “molliccio” e dalla minima resistenza. Quasi fosse formato da grumi di materiale scollegati gli uni dagli altri, tanto che chi dovesse mai provare a camminare sulla sua superficie rischierebbe di sprofondare. Quadro bizzarro ritratto dai ricercatori che negli ultimi anni si sono occupati di studiare la composizione dell’asteroide Bennu, un corpo celeste che vaga nell’infinità dello spazio e che, secondo gli studi della Nasa, potrebbe colpire la Terra nel settembre del 2182.

L'impatto di un corpo celeste sulla Terra (archivio)
L'impatto di un corpo celeste sulla Terra (archivio)
L'impatto di un corpo celeste sulla Terra (archivio)

Una pallina di plastica

La ricostruzione morfologica di questo pezzo di roccia largo circa 500 metri e scoperto nel 1999 si deve a un team del quale hanno fatto parte anche gli italiani Dante Lauretta, responsabile scientifico della missione, e Maurizio Pajola, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Per prevenire possibili rischi, e studiare approfonditamente composizione e struttura di queste misteriose navicelle spaziali chiamate asteroidi, l’Agenzia spaziale americana ha dato vita alla missione Osiris-Rex col lancio il 9 settembre 2016 di una sonda che il 20 ottobre 2020 ha raggiunto Bennu prelevando dalla superficie un consistente campione di rocce e polvere, la massa più grossa raccolta su un corpo celeste dopo le missioni Apollo sulla Luna. Nell’anno e mezzo seguente, quel materiale è stato analizzato e da qui deriva la scoperta: l’asteroide in teoria potrebbe sfaldarsi, e se la “macchina spaziale” anziché allungare il braccio meccanico ci si fosse posata sarebbe potuta sprofondare «perché i massi che compongono» quel corpo celeste «sono quasi del tutto slegati», aveva spiegato Pajola, «la superficie ha reagito con resistenza minima, è come se le particelle che lo compongono avessero una coesione tra loro pari a zero». Dunque se la sonda non fosse tornata indietro subito dopo aver eseguito il proprio compito magari sarebbe stata inghiottita. Per rendere l’idea, i ricercatori hanno fatto questo esempio: a una persona che dovesse camminare sull’asteroide parrebbe di calpestare una distesa di palline di plastica.

Un asteroide nello spazio (archivio)
Un asteroide nello spazio (archivio)
Un asteroide nello spazio (archivio)

Il lungo rientro

Tutto questo sarà approfondito tra pochi mesi, quando la sonda tornerà sul nostro pianeta. L’appuntamento è previsto per settembre, quando il campione raccolto a milioni di chilometri da noi sarà paracadutato nel deserto dello Utah (negli Stati Uniti) dalla stessa sonda Osiris-Rex che al momento è in viaggio dopo aver trascorso gli ultimi sette anni nel cosmo. Da oggi ad allora chi fa parte della missione cercherà di capire come recuperare integri i campioni raccolti su Bennu, circa 250 grammi: far attraversare loro indenni attraversare l’atmosfera sarà il compito più difficile, vista la potenza dell’attrito. Il “pacchetto” dovrà essere protetto dal calore, dalle vibrazioni e dai contaminanti terrestri, poi una volta recuperato sarà trasportato al Johnson Space Center di Houston dove sarà aperto e suddiviso per essere distribuito ai ricercatori di tutto il mondo che lo studieranno. Gli esperti stanno simulando i piani di navigazione in vari scenari di meteo, attività solare e detriti spaziali. In estate si svolgeranno le esercitazioni sul campo delle squadre di recupero. Quel che si troverà potrebbe aiutare gli scienziati (questa la speranza) a scoprire, o quantomeno avvicinarsi alla verità, quali siano state le reali origini del Sistema solare, per molti versi ancora oggi oscure. E anche a capire come prevenire eventuali impatti con questi relitti cosmici che, se arrivassero sulla terra, potrebbero creare devastazioni, distruzioni e, in casi estremi, estinzioni di massa.

La grande estinzione

Come capitò, tesi ormai prevalente, con i dinosauri milioni di anni fa, scomparsi a causa dell’impatto con una massa rocciosa di circa 10 chilometri di larghezza. Bennu, nome di una divinità egiziana (un uccello mitologico), ha dimensioni tali (500 metri) da spazzare via un’intera grande città, anche se vista la sua particolare composizione potrebbe sfaldarsi nell’atmosfera. Ecco: se queste caratteristiche non fossero uniche ma diffuse, il rischio di una catastrofe per la Terra verrebbe a ridursi sensibilmente.

La superficie di Marte (archivio)
La superficie di Marte (archivio)
La superficie di Marte (archivio)

Tra Marte e Giove

L’asteroide fa parte della “Fascia principale”, quella vastissima area di “rottami cosmici” che si trova tra Marte e Giove. Ha una forma sferoidale con un diametro medio di circa mezzo chilometro, completa un’orbita in un anno e 73 giorni e nel suo viaggio nel cosmo incrocia ripetutamente la nostra piccola casa spaziale. Passerà vicino a noi già nel 2135, e la sua traiettoria potrebbe cambiare a causa di fattori specifici tra i quali la forza di gravità del nostro pianeta. I passaggi ritenuti più preoccupanti, in base ai calcoli, sono il 2300, con una probabilità di impatto di circa una su 1.750 (lo 0,057 per cento), e il settembre 2182, data ritenuta più significativa, con una probabilità su 2.700 (lo 0,037 per cento). La possibilità che cada sulle nostre teste è dunque bassa, ma l’asteroide resta comunque tra i più pericolosi tra quelli conosciuti nel Sistema solare. Inoltre nel 2135 potrebbe subire un’alterazione della traiettoria (a causa della gravità terrestre) con effetti svantaggiosi per il nostro pianeta in un futuro remoto.

Un'immagine della Nasa sullo scontro tra quattro galassie (archivio)
Un'immagine della Nasa sullo scontro tra quattro galassie (archivio)
Un'immagine della Nasa sullo scontro tra quattro galassie (archivio)

Da film catastrofico

Ecco, le informazioni raccolte dalla sonda saranno utilizzate anche per preparare operazioni utili a cambiare, se mai dovesse servire, le traiettorie degli asteroidi in rotta di collisione con la Terra. Incrociamo le dita.

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