Nel 1911 Pablo Picasso è un artista trentenne ancora lontano dalla fama che lo consacrerà tra i personaggi più influenti del Ventesimo secolo, ma nel curriculum ha già le produzioni dei periodi Blu e Rosa e ha anche già dato le prime forme al Cubismo. Il maestro andaluso conduce la vita del più classico bohémien, disordinata e  burrascosa nella Parigi figlia della Belle Epoque, dove l’effervescenza culturale troverà protagonisti irripetibili (da Hemingway a Modigliani) e non verrà fermata neanche dalla prepotenza della Grande guerra. 

PICASSO IN GENDARMERIA 

Alla porta di casa si presentano due agenti: “Prego, ci segua in gendarmeria. Dobbiamo farle alcune domande”. Il collegamento tra l’artista spagnolo e un misteriosa sparizione che getterà nello sconforto mezzo mondo sembra superare i confini di un giallo di Simenon. “Sappiamo che lei ha partecipato al furto della Gioconda al Louvre”. Un’accusa pesante che getta nello sconforto il pittore, anche se basta l’intervento di alcuni testimoni per scagionarlo: “Quella mattina ero lontano dal museo». Va peggio a Guillarme Apollinaire, poeta e scrittore, che con Picasso condivide la creazione del Cubismo. Lui viene arrestato per via di indizi pesanti per una sua possibile presenza al Louvre, ma soprattutto per le sue dichiarazioni sovversive («dobbiamo distruggere le opere di tutti i musei per far spazio alla nuova arte»). Verrà poi rilasciato perché le accuse si riveleranno troppo deboli.

UN FURTO INCREDIBILE 

Sono  passati pochi giorni dall’incredibile colpo effettuato nel Salon Carré in circostanze misteriose. Secondo le ricostruzioni, la mattina del 22 agosto del 1911 alcuni visitatori chiedono informazioni sulla Monna Lisa. “Dove l’avete messa?”. Gli uomini della sorveglianza impiegano pochi secondi per rendersi conto di quanto accade. Un paio di controlli incrociati e arriva la certezza: la Gioconda non è più al suo posto, è scomparsa. Qualcuno l’ha portata via. Non una traccia, non un testimone, soltanto un lungo silenzio e i tanti tentativi a vuoto degli investigatori: per più di due anni l’irripetibile capolavoro nato dal pennello di Leonardo sembra essersi dissolto nel nulla. La Francia è sotto choc, si pensa anche che dietro il furto ci sia un’azione dall’estero: si fanno allusioni a un intervento tedesco, ma anche americano e giapponese. Non mancano momenti di gelo nelle relazioni internazionali. 

DUE ANNI DI SILENZIO 

Le nubi si schiariscono in modo quasi inatteso nel novembre del 1913 quando ormai la Gioconda viene considerata come un’opera perduta. Il collezionista d’arte fiorentino Alfredo Geri riceve una lettera da tal Leonard V, che gli propone la vendita della Monna Lisa, “a patto che il capolavoro rimanga in Italia”. L’esperto d’arte crede poco a quella lettera ma si incuriosisce  e organizza un incontro per il 13 dicembre a Firenze, convocando anche Giovanni Poggi, direttore della Regia galleria del capoluogo toscano. L’opera, senza più cornice, è avvolta in un panno: viene esaminata a lungo, Leonard V concede anche la possibilità di un ulteriore controllo per verificare l’autenticità della tela. Si arriva a una certezza: quel quadro è autentico, è davvero lei, la Gioconda. Una scoperta sconvolgente che porta verso un’unica strada: la denuncia ai carabinieri. 

MIRACOLO A FIRENZE 

Il sedicente Leonard V, che alloggia in un albergo nel centro di Firenze, viene subito arrestato. Dopo un breve interrogatorio salta fuori la sua vera identità. Si chiama Leonardo Peruggia, ha 32 anni, è un decoratore-restauratore originario di Dumenza, nel Varesotto. Al tempo del furto lavorava al Louvre. L’uomo rivela i dettagli di questa giornata d’agosto e lancia soprattutto un messaggio: “Quest’opera è stata rubata agli italiani e in Italia deve tornare”. Partono le indagini a ritroso per capire come il decoratore sia riuscito a impadronirsi del capolavoro, si torna all’agosto del 1913. Ed è lui ad ammettere candidamente: “Quella mattina sono arrivato presto al lavoro, sono entrato nel Salon Carré. Ho dato uno sguardo rapido. Non c’era nessuno”. Un colpo al vetro: “Ho preso il quadro, ho tolto la cornice e mi sono messo il dipinto sotto il cappotto e sono uscito”. Un breve tragitto in tram fino a casa. Per due anni la Gioconda è rimasta appesa in quell’appartamento buio e squallido : “La guardavo tutti i giorni”, confessa Peruggia, che verrà condannato a un anno di carcere, con il riconoscimento della minorata capacità di intendere e di volere: “Ma volevo semplicemente che l’opera di Leonardo tornasse a casa. In Italia”. 

La notizia del ritrovamento fa il giro del mondo, la Gioconda viene riportata al suo splendore originale. C’è un accordo tra le autorità francesi, parte un tour del quadro in Italia che passa anche per la Galleria Borghese a Roma e la Pinacoteca Brera di Milano. Poi il ritorno al Louvre, dove la Gioconda vivrà la sua nuova fama esaltata da quello strano furto, mentre si consacra mito dell’arte di tutti i tempi.

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