Sono passati quattro anni dall’inizio dell’epidemia di Covid 19, una terribile parentesi nel mondo occidentale in cui le infezioni su vasta scala sono state combattute e vinte. In Italia, l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973, in Campania e Puglia. Nel 1994, sempre il Puglia, si sviluppò un focolaio di limitate proporzioni, con meno di 10 casi. Da allora, l’unico episodio descritto risale all’agosto del 2008 in un turista si ritorno dall’Egitto. C’è una percentuale di rischio legata all’importazione di malattie dalle aree endemiche, ma nella maggior parte dei casi il sistema è in grado di evitare il diffondersi del contagio.

A Napoli nel 1973 complessivamente si registrarono 277 contagi e 24 morti, la maggior parte delle quali (19), avvenute in città in cui all’ospedale dedicato alle malattie infettive Cotugno ci furono 822 ricoverati, di cui 126 pazienti positivi, 661 negativi e 11 portatori sani. Di quei giorni terribili si ricordano la storica prima pagina del Mattino e la fotografia che immortalò il gesto scaramantico (le corna) dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone in visita al nosocomio dedicato ai malati. Le cronache riferiscono di epidemie ricorrenti o endemiche in varie parti del mondo. I paesi poveri sono ciclicamente devastati da flagelli di vario tipo. Negli ultimi mesi una grave epidemia di colera ha interessato diversi paesi dell’Africa meridionale, con almeno 220mila casi rilevati e oltre 4mila morti a causa della malattia. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è l’epidemia di colera con più morti nei paesi africani dell’ultima decina di anni, e con un tasso di letalità superiore al normale. Tra le cause di certo le alluvioni che hanno interessato diversi paesi, peggiorando le condizioni già precarie dei sistemi di distribuzione e scolo dell’acqua.

L’epidemia di colera riguarda Zimbabwe, Zambia, Malawi, Repubblica Democratica del Congo e Mozambico, ma sono stati segnalati focolai anche in altri paesi dell’Africa meridionale. La situazione è difficile in particolare in Zambia e Malawi, dove è stato rilevato il maggior numero di infezioni.

Solo in Zambia da ottobre sono morte almeno 650 persone a causa del colera sui 18.500 casi rilevati. Il tasso di letalità in Zambia è del 3,5 per cento, ben superiore all’1 per cento di solito riscontrato nelle epidemie di colera.

Il colera è causato da diversi tipi di Vibrio cholerae, un batterio che si sviluppa in acqua e alimenti contaminati con feci umane. Napoli nel periodo in cui si sviluppò l’epidemia aveva gravissimi problemi relativi al sistema fognario. La distruzione degli allevamenti di cozze, indicati come l’incubatrice del virus, si rivelò inutile. In realtà il problema erano le fogne a cielo aperto a Torre del Greco. 

Esistono da tempo vaccini contro il colera, che si sono dimostrati sicuri ed efficaci nel dare una buona protezione contro la malattia. L’Oms li utilizza nei programmi di vaccinazione di massa e in particolare durante le epidemie, ma l’approvvigionamento non è sempre semplice perché la produzione è scarsa e non sufficiente per rispondere ai picchi della domanda durante le epidemie.

Per affrontare l’emergenza, il Centro africano per la prevenzione e il controllo delle malattie ha ricordato l’importanza della vaccinazione e le difficoltà degli ultimi anni nella fornitura delle dosi. Tra il 2021 e il 2022 si erano verificate varie epidemie locali di colera in giro per il mondo, che avevano fatto aumentare sensibilmente la domanda a fronte di una produzione relativamente contenuta dei vaccini. Il problema ha avuto conseguenze sul 2023, periodo nel quale sono stati prodotti circa 37 milioni di dosi a fronte di una richiesta di 60 milioni.

La maggior parte dei vaccini contro il colera è prodotta da EuBiologics, un’azienda farmaceutica della Corea del Sud che da sola non riesce a soddisfare i picchi della domanda. Fino a qualche anno fa l’indiana Shantha Biotechnics, controllata dall’azienda farmaceutica francese Sanofi, produceva una propria versione del vaccino, ma ha via via ridotto le forniture in vista di una chiusura delle attività in questo settore. A circa 1,5 dollari per dose, il vaccino è poco remunerativo e di conseguenza non ci sono molti investimenti per la sua produzione.

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