Due racchettoni piantati sulla sabbia e un Super Tele quando andava male, oppure un pallone (magari mezzo sgonfio) sull’asfalto e una parete per porta. E che dire della carta di giornale appallottolata, tenuta assieme dallo scotch per pacchi e trasformata in attrezzo di gioco nei corridoi e nelle aule scolastiche durante le occupazioni giovanili, con le sedie a fare da traguardo finale? Ricordi di gioventù comuni a centinaia di migliaia di ragazzi. Basta un qualunque oggetto rotondo a far scattare qualcosa in testa e a spingere chiunque a rincorrere e calciare quell’improvvisata sfera con l’obiettivo di centrare uno spazio ridotto (anche solo immaginario, come accade a chi sventuratamente deve fare il portiere in acqua mentre gli amici calciano, spesso con gran forza, dalla spiaggia) e fare gol.

La palla rotola

Si dice che il calcio sia lo sport più bello del mondo. Molti non sarebbero d’accordo, e con buone ragioni; tuttavia uno dei motivi alla base di un simile parere potrebbe essere l’estrema facilità di creare dal nulla l’ambiente utile al gioco. Qualcosa di rotondo, uno piccolo riquadro da centrare. Stop. Come campo vanno bene sterrati, corridoi, stanze, torrenti in secca, campi incolti. In altri casi, praticamente tutti, non funziona così.

Nel basket servono i canestri piazzati a una certa altezza, nel tennis è necessaria una rete che divida il campo e sono indispensabili le palline, nel rugby si utilizza la palla ovale e si deve ricavare l’area di meta. Per non parlare degli sport tipicamente americani quali il Football (derivazione a stelle e strisce del rugby, con tanto di caschi e protezioni), baseball (servono mazza e palle adatte) e così via. Insomma, è difficile non ammettere che sia più semplice e immediato organizzare una partitina di calcio.

In tutto il mondo

Non è un caso che, salvo pochissime eccezioni, si trovino campi in ogni parte del pianeta. Anche le più improbabili. A ridosso delle foreste o del deserto, in isolette in mezzo al mare o ad altitudini inadatte, a picco sulle scogliere o sotto il livello del mare. Contarli tutti è impossibile ma c’è un libro che può soddisfare amabilmente la curiosità di scoprire quanto la passione per il pallone sia planetaria, tanto da spingere a realizzare rettangoli di gioco in posti incredibili. Si chiama “Il giro del mondo in 80 stadi”: scritto da Vladimir Crescenzo, giornalista sportivo francese che collabora con testate quali France Football e Onze Mondial, è uscito nel 2023 per Meltemi Editore e ha l’obiettivo, come esplicato nella quarta di copertina, di condurre il lettore in un “viaggio per immagini alla scoperta degli stadi più incredibili del pianeta”. Un omaggio al calcio.

Un viaggio incredibile

E così è in effetti, perché in 195 pagine l’autore fa da Cicerone in un percorso che tocca i cinque continenti e decine di Stati. Dai più logici, quali Argentina, Brasile, Italia, Inghilterra, Germania, Francia, Uruguay e Usa, ai più improbabili (Bhutan, Maldive, Haiti, Liechtenstein, Vanuatu, Isole Cook e così via). Tappe comunque riguardanti impianti di gioco poco conosciuti o sconosciuti, in posizioni estreme e affascinanti, dalle dimensioni regolari o inferiori al normale, in erba e terra, circondati dalle abitazioni e in mezzo al nulla. Una carrellata affascinante e allo stesso tempo rivelatrice dell’amore mondiale per il calcio.

Si comincia dal Central Coast stadium di Gosfrd in Australia, impianto da 20mila posti in una cittadina che conta 3mila residenti e ospita i Central Coast Mariners (in bacheca un titolo nazionale), affacciato sull’estuario del Brisbane Waters, e si chiude con il Pago Park soccer stadium di Pago Pago, nelle Samoa Americane in Oceania: un campo che ha come curva una foresta tropicale e dove nel 2001 si disputò un incontro di qualificazione al Mondiale tra i padroni di casa e l’Australia (il match finì 31-0 per gli ospiti). Nel mezzo c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Dalla Corea alle Maldive

Si spazia dall’Alpensia Jumping Park e Pyeongchang in Corea del Sud, il cui campo comincia dove terminano i due grandi scivoli usati per il salto con gli sci nei Giochi olimpici invernali del 2018, al moderno Hong Kong stadium totalmente immerso nel verde della foresta a pochi metri dalla metropoli; dal mitico e celeberrimo Maracanà di Rio de Janeiro in Brasile all’Estadio Saturnino Moure di Buenos Aires in Argentina, ricavato nell’ansa del fiume Riachelo che circonda tutto il campo di gioco, accessibile solo tramite un vecchio ponte ferroviario e dove gioca il Club Atletico Victoriano Arenas; c’è lo stadio di Leh in India a 3.500 metri di altitudine nel così detto “deserto freddo”, in mezzo al nulla; il Campo di Mahibadhoo alle Maldive in Asia, incastonato tra le basse abitazioni coi tetti di lamiera celesti e la piccola striscia di sabbia che divide l’isoletta dall’acqua del mare (tra l’area del calcio d’angolo destro e la battigia ci sono pochi metri); quello di Sagarmatha in Nepal, oltre 3mila metri di quota, ricavato sulla strada che conduce al campo base per la scalata verso l’Everest, un piccolo spazio in terra battuta ben più piccolo del normale e con porte di fortuna; l’impianto, diciamo così, di Al Hajar in Oman, utile forse per giocare a sette, con un fondo apparentemente in sintetico e circondato solo da rocce e polvere; il Campo della valle di Passu in Pakistan, terra e pietre, dove le ragazze possono coronare il sogno di giocare al calcio in un Paese che ha come sport nazionale il cricket e limita fortemente l’accesso femminile allo sport; lo stadio The Float a Marina Bay, Singapore, un rettangolo ricavato su una piattaforma in mezzo all’acqua; il meraviglioso Campo galleggiante di Koh Panyee in Thaliandia, piccolissimo, appena sufficiente per il calcio a 5, col rischio (la certezza) che ogni due tiri la palla finisca in acqua (non ci sono reti laterali né posteriori; il Qeqertarsuaq Stadium in Groenlandia, incastonato tra il terreno scuro e freddo dell’estremo nord e l’acqua puntellata di iceberg distante pochi metri come anche il Nanortalik Stadion e l’Uummannaq Stadion.

Sudamerica, Africa, Europa

Ma ci sono anche il Complejo Cultural Machu Picchu in Perù, letteralmente incastrato tra piccoli palazzotti a loro volta incastonati tra le altissime vette di quel territorio; il campo della Medina a Chefchaouen in Marocco, un’area brulla con vista sulla meravigliosa città vecchia; il Siaka Stevens National Stadium di Freetown in Sierra Leone, Africa, dove alcuni coraggiosi hanno ricavato tra centinaia di abitazioni una piccola zona libera tracciando le linee di un campo più simile a un quadrato irregolare che a un rettangolo.

In Croazia c’è uno stadio con una tribuna e una mezza curva, perché il resto è formato solo da roccia e più giù, a qualche decina di metri, c’è il lago Blu alla fine dello strapiombo; alle isole Faroe ecco il campo A Molini, il più settentrionale, costruito nel 2014, chiuso su un lato dal burrascoso mare del Nord, su un altro da una laguna e sul resto dal roccia e licheni. Il campo è abbandonato dal 2007, vi giocava l’EB/Streymur; esiste l’incredibile Henningsvaer Stadion delle Isole Lofoten in Norvegia, all’estrema propaggine di questo arcipelago oltre il circolo polare artico meta turistica tra le più frequentate; e il Meshchersky Park di Mosca totalmente immerso tra gli alberi alla periferia della metropoli.

Ne esistono molti, molti altri. Ma elencarli tutti sarebbe impossibile. Come far comprendere l’enorme passione planetaria per questo sport.

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