Quando si parla di Luigi Manconi viene da rubacchiare un’etichetta coniata da Piero Sansonetti per chi si batte contro la cultura forcaiola: uno dei pochi garantisti veri e non a dondolo della nostra politica. La parta più avvertita dell’opinione pubblica lo ricorda, oltre che per l’attività parlamentare, in trincea per i diritti negati nei casi Uva, Aldrovandi, Regeni e Cucchi. Oggi la sua è una delle voci che si levano in difesa delle ragioni di Alfredo Cospito, che mentre attende di scoprire se la sua condanna a vent’anni si trasformerà in ergastolo ostativo dal 19 ottobre è in sciopero della fame nel carcere di Sassari – la città di Manconi – contro il regime del 41 bis che gli è stato confermato dal Riesame

Manconi, che cosa c’è di strano nel carcere duro per chi risponde di reati gravissimi?

 “Bisogna intanto ricordare l’origine del regime speciale, che come è noto è stato istituito per combattere la grande criminalità organizzata. La sua applicazione in un caso come questo, un caso diciamo così di militanza anarchica rivoluzionaria, appare francamente improprio. Ma è tutta la vicenda che sembra all’insegna di una mancata proporzionalità tra i fatti e la loro sanzione, al punto che la stessa corte d’assise d’appello di Torino ha accolto la richiesta dei legali di Cospito di sollevare un’eccezione presso la Consulta in quanto appare una sproporzione fra l’entità del reato e la sanzione prevista”.

Il reato di cui parliamo è strage.

“Cospito è condannato per aver inviato due pacchi bomba alla scuola carabinieri di Fossano: un’azione che non ha causato morti né feriti e neppure danni rilevanti, eppure la fattispecie penale la configura come strage politica, cioè contro la personalità dello Stato. Quindi rischia l’ergastolo nonostante l’esito delle sue azioni nulla abbia a che vedere con eventi come Capaci e di via d’Amelio. Questo mi pare un primo elemento di sproporzione, e invece il diritto trova uno dei suoi fondamenti proprio nella proporzionalità tra il fatto e la sanzione. Un’altra sproporzione è che a seguito della condanna ci sarebbe l’ostatività, cioè l’impossibilità di usufruire dei benefici carcerari e di accedere alla libertà condizionale se non dopo 30 anni. Tutto questo appare eccessivo, direi caricato ideologicamente piuttosto che sancito dalle leggi”.

In sostanza dipende dal fatto che Cospito è anarchico?

“Sì. Quella dell’anarchico è una categoria che porta con sé una letteratura, un’emotività e un allarme sociale particolari”.

Però l’anarchico Cospito può ricorrere in Cassazione contro il 41 bis e alla Consulta per farsi riconoscere le attenuanti.

“Sì, in Italia ci sono gli strumenti previsti dallo stato di diritto – per quanto pieno di limiti, carenze e difetti – ma questo non cambia realtà cose. Un sovversivo, un rivoluzionario può legittimamente chiedere il rispetto delle garanzie e dei diritti anche se ideologicamente non si riconosce in quel sistema. Questo è un punto che eventualmente riguarda la coerenza di un anarchico, non noi che siamo felici trovarci in uno Stato di diritto. Il garantismo prescinde completamente dal clima politico complessivo e dal curriculum criminale di ciascuno”.

A proposito di clima, prendiamo in considerazione tre elementi: la riproposizione dell’ergastolo ostativo, la vicenda di Cospito, la richiesta di applicare il codice antimafia a un attivista ventenne del gruppo ambientalista Ultima Generazione. Sono conseguenze del nuovo governo o insieme al nuovo governo sono espressione del nuovo clima del Paese?

“Mi sembra una forma letteraria diversa del dilemma sull’uovo e la gallina. È ovvio che un certo orientamento dell’opinione pubblica, una certa direzione presa dalla mentalità collettiva producono un certo risultato elettorale, che a sua volta si traduce in politiche pubbliche che blandiscono un certo movimento di opinione. Il fenomeno in sé non è assolutamente una novità, la cosa singolare è che questo orientamento giustizialista, questa tendenza legge & ordine prendono corpo in una società italiana che registra il crollo numerico di tutti i reati. Il 41 bis nasce nei primi anni Novanta e nel ’92 gli omicidi volontari furono circa 750. Oggi sono al di sotto dei 300. Non solo: tutti i reati, compresi quelli più suscettibili di creare allarme sociale come rapine e furti, diminuiscono significativamente. Questo dimostra che il peso del populismo nel determinare gli atteggiamenti collettivi è assai più forte dell’esperienza diretta di ciascuno di noi”.

In un clima populista, quanto può incidere la cultura garantista del ministro della Giustizia Nordio?

“Nordio ha iniziato malissimo, non contestando un obbrobrio giuridico e culturale come il decreto Rave, dopodiché ha indicato un disegno di riforma della giustizia che condivido largamente. Mi sorprende però che questa idea venga contraddetta da esponenti della sua stessa maggioranza e del suo stesso governo”.

La sostituzione di Renoldi al vertice del Dap è un danno per i detenuti?

“Renoldi ha avuto posizioni di politica penitenziaria razionali e intelligenti, si poteva sperare in una politica delle carceri che finalmente riflettesse su sé stessa e assumesse indirizzi nuovi. Purtroppo è l’ennesima speranza sfumata”.

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