«Andrea, parto tra un’ora», aveva scritto nel biglietto che gli aveva mandato. Confidava in un ripensamento, lui la lasciò partire.

22 ottobre 1899, Grazia Deledda sale sul treno diretto a Cagliari. Doveva sbrigare alcune commissioni per conto della famiglia e aveva accolto l’invito dell’amica Maria Manca, direttrice della rivista La Donna Sarda, a trascorrere un periodo di vacanza nella villa al mare. Aveva bisogno di svagarsi, di sfuggire ai pettegolezzi dei nuoresi che da settimane non parlavano d’altro che delle sue nozze andate a monte. E adesso, eccola qui, la ragazza col cuore in pezzi. Non lo sa ancora, ma a Cagliari conoscerà Palmiro Madesani, un funzionario della prefettura originario di Mantova. Non sa ancora che da lì a tre mesi sarà una donna sposata e si trasferirà a Roma.

Non era tipa da piangersi addosso, lei. Ma chissà quante volte negli anni che seguirono avrà ripensato al primo vero, grande amore. Lui si chiamava Andrea Pirodda. Maestro elementare di bell’aspetto («Dalle ciglia lunghissime», lo descriveva Grazia), era un intellettuale di idee moderne e progressiste che scriveva articoli sulle riviste culturali e scolastiche, pubblicava poesie e novelle. Sulla carta, un’anima gemella. Classe 1868, originario di Aggius, era arrivato a Nuoro nel 1891 e ben presto notò quella ragazza piccola come una bambola, grandi occhi neri e il fuoco dentro. All’inizio, quando s’era dichiarato, Grazia l’aveva respinto, poi pian piano se ne innamorò e avviò una relazione nascosta, osteggiata dalla sua famiglia.

Grazia se n’era innamorata perché Andrea aveva compreso appieno la natura profonda della sua anima, testata atomica di spregiudicatezza, opportunismo, rigore, passione, anticonformismo, determinazione. Lui aveva scoperto per primo nella pietra grezza la luce di una ragazza che sarebbe diventata una scrittrice Premio Nobel, quel fuoco che anni più tardi D. H. Lawrence definì «un’ambiguità», «una natura selvaggia centrata sul sentimento». Si scambiarono lettere inviate con la Posta e bigliettini affidati alle serve dapprima con assiduità, fra il 1891 e il ’93, poi con fasi alterne per via del trasferimento di lui, chiamato a insegnare a Iglesias, Buggerru e Cagliari.

Al suo rientro a Nuoro, nel 1897, Andrea - diventato professore di pedagogia - non era più lo stesso. La famiglia di lei non osteggiava più il loro legame, ma i suoi sentimenti per Grazia erano cambiati. Negli anni trascorsi tra Iglesias e Buggerru aveva conosciuto Igina Nesti, una bellissima allieva molto più giovane di lui, figlia di un capo miniera toscano. Non sapeva come sbrogliare la rete in cui era rimasto impigliato: Grazia stava organizzando il fidanzamento ufficiale, tutta la città sapeva del loro legame. Il nodo venne sciolto dal destino, forse un poco aiutato dal giovane che cercava riparo altrove. Nell’autunno del 1899 Andrea Pirodda ricevette una lettera di trasferimento alla Normale di Iglesias. Per lui una liberazione, per Grazia un colpo al cuore. A Nuoro la gente cominciava a parlare neanche sottovoce del matrimonio andato a monte. Mentre l’uomo di cui è innamorata prepara le valigie e organizza il viaggio di sola andata, lei dapprincipio fiduciosa lo supplica, poi piange sui cocci del suo cuore spezzato.

Se uno tra noi avesse potuto vederla in quei giorni, avrebbe pensato che non era più la Emily Bronte della Barbagia, la ragazza col fuoco nell’anima e uno sconfinato, spesso sconveniente, mondo interiore. Sembrava così diversa dalla signorina che solo sette anni prima, nel 1892, scriveva lettere con l’argento vivo ad Angelo De Gubernatis, direttore di Natura e Arte, grande intellettuale che nella grezza signorina sarda aveva intuito la luce di una grande scrittrice. «Benché conservi qualcosa di selvaggio e di caratteristico, forse il riflesso dell’ambiente in cui vivo - confidava -, non rassomiglio punto alle altre fanciulle sarde, perché, attraverso il circolo di montagne deserte e leggendarie che chiudono il mio orizzonte, sento tutta la modernità della vita, dei tempi nuovi e dei nuovi ideali».

Accettò dunque l’invito dell’amica Maria Manca. «Cambiare aria mi farà bene», aveva pensato. Prima di partire, però, tentò ancora una volta di ricondurre a sé l’amato. «Andrea, parto fra un’ora», scrisse nel biglietto affidato alla serva. Andrea la lasciò andare.

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