Vogliono lavorare, gli immigrati. Hanno sogni, capacità specifiche, progetti di vita. Aspirano a fare gli agricoltori e i pastori, i camerieri e i cuochi; i sarti, i meccanici, i muratori; gli infermieri. Se solo si riuscisse concretamente a far incontrare domanda e offerta, ci guadagnerebbero le persone, le imprese, l’economia, la società intera.

Con l’obiettivo di favorire un migliore inserimento nel mondo del lavoro (anche attraverso l’autoimprenditorialità) dei richiedenti e titolari di protezione umanitaria, sussidiaria e asilo politico; di accorciare i tempi per l’inserimento, individuando le modifiche strutturali da introdurre nel sistema degli attori e dei servizi, evitando duplicazioni e frammentazioni di attività e puntando a una maggiore efficienza; di ridurre il mismatch tra le richieste della manodopera e le necessità delle aziende e degli enti, è stato pubblicato di recente un lavoro commissionato dall’Anci Sardegna e interno al Progetto Fami-Prima, Piano regionale di rafforzamento dell’integrazione lavorativa dei migranti. L’Anci ha costruito e somministrato nelle diverse province dell’Isola – attraverso la preziosa collaborazione dei mediatori linguistico-culturali – un questionario capace di evidenziare alcune caratteristiche socio-anagrafiche dei migranti e i loro desiderata riguardo al collocamento professionale nei diversi segmenti del mercato del lavoro.

I risultati sono stati affidati al sociologo dell’Università di Cagliari Marco Zurru, che li ha elaborati, “tradotti” in professioni secondo i codici Istat e inseriti all’interno di un ampio dossier che racconta passato, presente e futuro dell’immigrazione nell’Isola, fondamentale strumento a supporto dei Comuni, delle realtà del terzo settore, della Regione e del ministero, per attivare, nella fase della seconda accoglienza, servizi di integrazione sociale ed economica.

Spiega Zurru: «Abbiamo visto cosa accade con i “click day” per l'ingresso di lavoratori stranieri in Italia: le domande sono sempre infinitamente più numerose delle quote previste dal decreto flussi. C’è una disfunzione evidente, la politica non è conseguente a ciò che serve all’economia e al mondo delle imprese. Noi abbiamo provato a metterci dall’altra parte, a interrogare i migranti, e loro hanno parlato non soltanto di “sogni”, ma di cose che sanno già fare, perché le facevano nei Paesi d’origine o le stavano imparando. Quindi, possiamo investire in queste risorse, orientando i corsi di formazione professionale, affinché gli immigrati possano entrare nel sistema produttivo in maniera ottimale».

Dai quasi settecento questionari somministrati, emerge che il gruppo più affollato (27% dei desiderata) è quello delle “professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi”, attività che – spiega lo studio - richiedono in genere conoscenze di base assimilabili a quelle acquisite completando l'obbligo scolastico, o un ciclo breve di istruzione secondaria superiore o, ancora, una qualifica professionale o esperienza lavorativa. All’interno del gruppo ci sono lavori come cuochi in alberghi e ristoranti, camerieri di ristorante, baristi e professioni assimilate (che insieme raccolgono il 53% delle preferenze), commessi, professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali, acconciatori, estetisti e truccatori, massaggiatori e operatori termali, addetti all'assistenza personale, agenti della Polizia di Stato, guardie private di sicurezza.

Il secondo grande gruppo scelto è quello degli “artigiani, operai specializzati e agricoltori, che include professioni che necessitano di un certo volume di esperienza e conoscenza tecnico-pratica dei materiali, degli utensili e dei processi per estrarre o lavorare minerali; per costruire, riparare o manutenere manufatti, oggetti e macchine; per la produzione agricola, venatoria e della pesca; per lavorare e trasformare prodotti alimentari e agricoli destinati al consumo. Tra le professioni più “gettonate” in questo gruppo troviamo gli allevatori e gli agricoltori, che raccolgono il 27,6% del totale relativo. Seguono i meccanici motoristi e riparatori di veicoli a motore, i sarti e i muratori.

Il terzo grande gruppo scelto è quello delle professioni tecniche, il livello di conoscenza richiesto dalle professioni che ne fanno parte è acquisito generalmente con il completamento di percorsi di istruzione secondaria, post-secondaria o universitaria di I livello, o percorsi di apprendimento, anche non formale, di pari complessità. Le professioni maggiormente indicate dagli intervistati sono: tecnici del reinserimento e dell’integrazione sociale e professioni sanitarie infermieristiche.

Il quarto gruppo per ordine di importanza quantitativa è quello delle “professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione”, come geologi, ingegneri meccanici, ingegneri elettronici e in telecomunicazioni, medici generici, dentisti e odontostomatologi, specialisti in diagnostica per immagini e radioterapia, dietologi e igienisti, specialisti del controllo nella Pubblica Amministrazione, specialisti delle relazioni pubbliche, dell'immagine e professioni assimilate, psicologi clinici e psicoterapeuti, giornalisti, interpreti e traduttori, attori, ricercatori e tecnici laureati in scienze economiche e statistiche, professori di discipline tecniche e scientifiche nella scuola secondaria inferiore, insegnanti.

Il quinto gruppo è quello dei “legislatori, imprenditori e alta dirigenza, ovvero responsabili di piccole imprese del commercio, alberghi, alloggi o aree di campeggio e di piccoli esercizi di ristorazione.

Sono poco meno di 50mila gli immigrati presenti in Sardegna. I rumeni sono i più numerosi, seguono senegalesi, marocchini, cinesi, ucraini, filippini, nigeriani, bengalesi, pachistani, polacchi. Il loro tasso di occupazione è del 61% (oltre la metà, il 37%, ha posizioni non qualificate, quelli con un titolo di studio sono il 36% ma hanno difficoltà a farselo riconoscere e apprezzare, e anche questo «mette in evidenza il livello di inutilizzo di tante abilità specifiche», sottolinea il report. Degli intervistati – 446 uomini e 200 donne da 52 Paesi diversi, il 41% africani, il 50,4% con meno di 33 anni, il 7% con più di 58 anni – solo 34 hanno detto che «qualsiasi lavoro arrivi andrebbe bene», la maggior parte ha invece le idee molto chiare.

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