L’epoca dei principi del Foro, degli avvocati grandi oratori che rapivano l’attenzione degli addetti ai lavori e riuscivano a demolire il castello accusatorio grazie alla perfetta conoscenza del diritto, appare lontana. Un tempo c’erano meno processi e, giocoforza, i legali erano pochi. Qualche centinaio, forse qualcuno in più. In una società mediamente meno istruita e maggiormente povera - dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta - l’accesso alla professione era ristretto a chi aveva capacità finanziarie superiori e forza di volontà a profusione, con docenti universitari ritenuti molto severi (rispetto ai canoni odierni) e lezioni particolarmente dure.

Col tempo l’obiettivo quasi proverbiale cui ambire (diventare legale o medico per garantirsi crescita sociale e finanziaria) ha portato a un’enorme richiesta di iscrizioni alle facoltà che potevano spalancare la porta di accesso a quel mondo. Una sorta di cascata che, col tempo, è stata costretta a passare attraverso gole sempre più strette per poi fermarsi davanti alla diga del numero chiuso: ogni tanto gli scarichi si aprono e un po’ di acqua passa, ma la grande massa resta in attesa del suo momento. Che magari mai arriverà.

In fila per sostenere l'esame alcuni anni fa\u00A0(archivio)
In fila per sostenere l'esame alcuni anni fa\u00A0(archivio)
In fila per sostenere l'esame alcuni anni fa (archivio)

Oggi la professione forense è esercitata da migliaia di toghe, anche a causa dell’enorme incremento di litigiosità (fenomeno tutto italiano) e del conseguente florilegio di norme, leggi, decreti legge, commi e reati che hanno ingigantito lo spessore dei codici penale e civile. Ma le possibilità di lavoro non sono sufficienti a garantire stabilità e soddisfazione a tutti. Pochi emergono grazie a capacità, costanza, acume, conoscenza approfondita della materia; altri arrancano, sopravvivono, si occupano di procedimenti minimi, cercano di arrivare a fine mese. Non hanno lo spessore professionale per sopravvivere in un ambiente difficile, dove si decidono le sorti e il furto di migliaia di persone accusate di violazioni gravi o del tutto inutili, oppure semplicemente non sono abbastanza fortunati (è utile anche la buona sorte) o hanno scoperto che, in realtà, non è la vita che vorrebbero fare. C’è chi ha la fila di clienti alla porta e una sicurezza finanziaria che consente di scegliere a quale causa dedicarsi; c’è chi non può permettersi di scartare un solo cliente, nella speranza poi di essere pagato. Perché l’avvocato non ha una busta paga a fine mese: presenta l’onorario e passa all’incasso. Quando riesce a farlo.

Entrate in picchiata e gender pay gap

Difficile. Così da qualche anno il numero di iscritti agli ordini professionali ha cominciato a ridursi. Lo ha spiegato bene Il Sole 24 ore lo scorso luglio. Nell’ultimo anno le cancellazioni dall’Albo sono state 5.800, «il doppio rispetto a sette anni prima». Un fenomeno che si ritiene crescerà ulteriormente a causa di diverse «contraddizioni» tra cui «il gender pay gap», cioè la differenza di introiti finanziari tra uomini e donne (a svantaggio di queste ultime, il cui guadagno medio nel 2019 era pari a 20.333 euro a fronte dei 36.491 dell’altro sesso), «un reddito in picchiata e una densità di colleghi», dunque una concorrenza, «altissima». A livello nazionale gli avvocati sono 245mila, in Sardegna 5.239 pensionati compresi. E a Cagliari?

Il Palazzo di giustizia di Cagliari (archivio)
Il Palazzo di giustizia di Cagliari (archivio)
Il Palazzo di giustizia di Cagliari (archivio)

Nel capoluogo il fenomeno ancora non ha ancora provocato effetti evidenti ma potrebbe farlo a breve. Negli ultimi anni a fronte di decine di legali che hanno cambiato vita e infilato in un vecchio armadio la toga (tra l’altro molto costosa), altrettanti hanno sborsato le quote necessarie a iscriversi. Da questo 2021 però qualcosa, forse, sta cominciando a cambiare. Vediamo i numeri.

I dati degli ultimi anni

Nel 2015 all’ordine forense cagliaritano erano iscritti 2.688 avvocati; nel 2016 erano 2.730; nel 2017 il numero era salito a 2.772 per passare a 2.797 nel 2018; livello stabile (2.796) un anno dopo. Nel 2020 sono scesi a 2.768 (al 31 dicembre erano 2.688 gli iscritti alla cassa forense) e quest’anno siamo a 2.745. Una riduzione non eccessiva ma palese, dovuta principalmente all’ultimo concorso ministeriale per l’assunzione di personale amministrativo (funzionari, dirigenti, cancellieri) che coprisse, per quanto possibile, i cronici vuoti di organico nei Tribunali d’Italia. A Cagliari il bando riguardava 80 posti, quasi tutti coperti da legali che hanno deciso di lasciare la professione per avere un lavoro che garantisse orari certi, weekend liberi, contributi e versamenti sicuri, ferie regolari, malattie, benefici di legge. Stipendio a fine mese.

Rispetto al 2019 Cagliari perde\u00A050 iscritti (archivio)
Rispetto al 2019 Cagliari perde\u00A050 iscritti (archivio)
Rispetto al 2019 Cagliari perde 50 iscritti (archivio)

Un’altra vita, senza più l’obbligo di pagare le spese della cassa (elevatissime), i fondi pensione, i testi necessari ad aggiornarsi, l’affitto dello studio (o le spese di proprietà) e quant’altro previsto per esercitare la professione. Valter Militi, presidente nazionale di Cassa forense, sul Sole 24 ore spiegava proprio che quest’anno erano previste «tantissime cancellazioni» proprio «in virtù» dei concorsi nella pubblica amministrazione. «I dati ci dicono che dalla professione molti scappano in cerca di sicurezza. Lo fanno non solo più i giovani, ma anche i 50enni che si sentono marginali soprattutto sul fronte economico». Chiarissimo, come ancora più evidente era il successivo riferimento al reddito medio dichiarato. Nel 2019 ammontava a 40.180 euro, cioè un -15 per cento rispetto al 2010 ma un +1,8 per cento rispetto al 2018. A Cagliari nel 2012 era di 35.451 euro, cifra scesa a 31.451 nel 2019. Addirittura a livello nazionale gli under 30 restano sui 13mila euro annui: capita perché «il 73 per cento dei praticanti non prende emolumenti», il recente commento di Giovanni Lega, presidente di Asla, l’associazione degli studi legali associati. Fenomeno presente in tutte le regioni, Sardegna compresa.

Toga e codice (archivio)
Toga e codice (archivio)
Toga e codice (archivio)

Giovani in difficoltà

In generale gli avvocati più in difficoltà sono quelli generalisti «che non sono riusciti a ritagliarsi una fetta di mercato specifica», ha sostenuto Antonio De Angelis, presidente di Aiga, l’associazione italiana giovani avvocati: «Sono relativamente giovani e senza una clientela consolidata». Insomma, oggi si appende la toga al chiodo perché il futuro della professione è incerto, la concorrenza spietata, i redditi calano di anno in anno. Ma qualche speranza c’è, grazie a settori in espansione: le nuove tecnologie, Internet, i diritti legati alla tutela dei dati personali, il diritto sportivo, il diritto dell’Unione europea. Che questo spiraglio sia sufficiente a rendere nuovamente appetibile la professione, però, è tutto da dimostrare.

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