Bastavano 500 mila firme, invece più di un milione di italiani ha sottoscritto il Referendum Eutanasia Legale. Un risultato sopra ogni aspettativa, annunciato da Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni. “Un risultato straordinario che arriva esattamente 15 anni dopo la lettera di Piergiorgio Welby al Presidente Giorgio Napolitano per chiedere l'eutanasia. Era il 23 settembre 2006 e l'allora Presidente della Repubblica rispose augurandosi che il tema fosse affrontato nelle sedi più idonee”.

Da allora, però, non è cambiato nulla se non il fatto che l’opinione pubblica è stata sempre più attenta a questo tema, grazie anche al potere dei nuovi mezzi di comunicazione che hanno diffuso ogni storia, e sono centinaia ogni anno, simile a quella di Welby. Storie di dolore, di famiglie annientate da un vuoto normativo che i promotori del referendum vogliono assolutamente contribuire a colmare.

Il risultato ottenuto con la petizione, già al raggiungimento delle 500 mila firme, ha suscitato reazioni contrastanti.

«Sembrava impossibile riuscire a raccogliere il numero minimo di firme d’estate e per di più in periodo di Covid – ha scritto in una lunga nota Maurizio Mori, professore ordinario di Filosofia morale e bioetica all'Università di Torino e presidente della Consulta di Bioetica onlus - e invece in metà tempo si è raggiunto l’obiettivo: un miracolo! Forse la pandemia ha abbattuto vecchi tabù sul morire e fatto superare gli ultimi ostacoli».

Reazione di tutt’altro tenore è stata quella della Conferenza episcopale Italiana: «Grave inquietudine per la raccolta di firme per il referendum che mira a depenalizzare l’omicidio del consenziente, aprendo di fatto all’eutanasia nel nostro Paese – si legge nella nota del 18 agosto scorso – Chiunque si trovi in condizioni di estrema sofferenza va aiutato a gestire il dolore, a superare l’angoscia e la disperazione, non a eliminare la propria vita. Scegliere la morte è la sconfitta dell’umano, la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali. Non vi è espressione di compassione nell’aiutare a morire, ma il Magistero della Chiesa ricorda che, quando si avvicina il termine dell’esistenza terrena, la dignità della persona umana si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta».

Parole che Maurizio Mori, più che una reale e convinta condanna, considera “una blanda difesa d’ufficio della tesi tradizionale. Stupisce –scrive – anche che per la Cei le firme raccolte rappresenterebbero la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista: così facendo la Cei rimanda alla tesi che sia l’individualismo egoista di chi sta bene e guarda solo sé stesso a sostenere l’eutanasia: questo individualismo impedirebbe di vedere l’altro e le sue esigenze, e così consente a chi è fragile e ha maggiori esigenze di cura la possibilità di togliere il disturbo con l’eutanasia. L’antropologia solidale e altruista, al contrario, proprio perché presterebbe maggiore attenzione alle esigenze altrui, porterebbe a sostenere la morte naturale e le cure palliative come alternativa all’eutanasia». Quella della Cei, in realtà, è una tesi condivisa da una larga fetta di opinione pubblica contraria a quelli che considera i “falsi miti della buona morte”, come ben spiegato nel testo “Non resistere, non desistere” scritto da Lucio Romano, Massimo Gandolfini e Emanuela Vinai: «Esistono malattie inguaribili, ma non esistono malattie incurabili – questa la tesi degli autori – aiutare le persone che combattono un brutto male, condividere ogni istante del loro percorso può restituire la fiducia e il coraggio persi. Resistere quando non c'è più nulla da fare è vano – scrivono – desistere quando invece ci sarebbe ancora spazio di cura, è una grave omissione. La vera libertà per tutti, credenti e non credenti, è quella di scegliere a favore della vita, perché solo così è possibile costruire il vero bene delle persone e della società».

Maurizio Mori, nella nota scritta recentemente sottolinea invece che «alla base della richiesta di eutanasia sta la solidarietà umana per chi non ha più scampo e ha diritto di uscire dalla vita con dignità e senza soffrire. Le cure palliative sono un presidio importante ma non sempre bastano a evitare al morente la situazione infernale. Più che un’alternativa all’eutanasia, esse sono complementari: si comincia con la palliazione, e se funziona, bene! Se non basta, e l’interessato lo chiede si passa all’eutanasia. È l’interessato che sceglie e decide: chi altro? Non è però l’egoismo individualista che porta a accettare e avallare questa scelta, bensì la solidarietà umana: quella che ci porta a capire le sofferenze dell’altro e a avere rispetto anche della sua scelta di chiudere subito. È l’amore per l’altro che ci fa fare un passo indietro rispetto al nostro desiderio immediato (egoistico) di averlo sempre con noi. Autonomia individuale e solidarietà convergono».

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