Alle botte e alle umiliazioni continue si era quasi abituata. Ma quando vide che il suo bambino di pochi mesi era in balia di colui che lo avrebbe dovuto proteggere, è scattato qualcosa. E Anna (nome di fantasia a tutela della vittima) è diventata tutto a un tratto la protagonista di una storia di rinascita. Così l’incubo vissuto per dieci anni da una ventinovenne, originaria di un paesino dell’Oristanese, non è più soltanto una delle tante drammatiche vicende di donne maltrattate e abusate. La storia di Anna parla di riscatto e rinascita, diventa l’emblema della forza e del coraggio di una giovane donna che per amore proprio e del suo bambino è riuscita a ribellarsi a quell’orco di cui tanti anni prima si era innamorata. E la sua storia è anche la prova di come il lavoro di squadra delle operatrici dei Centri antiviolenza sia fondamentale, l’arma in più per riuscire a sconfiggere la spirale di abusi e violenze e restituire dignità e un futuro alle vittime. “La mia esistenza è segnata, certi fatti non si possono cancellare però è possibile cambiare, avere altre possibilità. Bisogna crederci e non smettere mai di lottare” ripete Anna rivolgendosi idealmente a tutte le donne che in questo momento sono in difficoltà. “Vorrei aiutarle e far capire loro che c’è una via d’uscita”.

Oggi l’ex marito, 32 anni dell’Oristanese, sconta in carcere una condanna definitiva a quattro anni per maltrattamenti (la sentenza è di qualche settimana fa) e lei, con il suo figlioletto, è riuscita a rifarsi una vita.

Il racconto

Anna ricorda ogni istante di questo calvario. Dall’innamoramento quando era appena quindicenne, il primo bacio e i sogni tipici di quell’età. “C'eravamo conosciuti quando io avevo 15 anni, poi il matrimonio e nel 2016 la nascita del bambino – racconta – Purtroppo le avvisaglie delle violenze c’erano state quasi da subito ma io ero innamorata e gli perdonavo tutto credendo che sarebbe davvero cambiato”. E invece non cambiava nulla, anzi la tensione diventava sempre più alta. “Mi seguiva, mi controllava e cercava di isolarmi dagli amici – ricorda – mi aveva distrutto l’auto a sprangate, il telefono per impedirmi di avere contatti con altre persone. Mi chiamava cagna e io ancora oggi non sopporto questo termine, nemmeno lo pronuncio”. Un’ossessione che non le dava tregua. “Mi picchiava con violenza, anche in pubblico, poi gli abusi. Avevo paura di reagire temendo che la reazione sarebbe potuta essere peggiore”. Anna ha avuto tanta forza per riuscire a dire a basta e a chiudere un rapporto che ormai l’aveva logorata e stava mettendo in serio pericolo la sua stessa vita. La molla che le ha dato coraggio è stata vedere il suo bambino in pericolo. “Lo aveva immobilizzato sul letto, il piccolo piangeva disperato – ricorda – là ho capito che dovevo fare qualcosa, anche se non sapevo cosa, ero completamente sola”. Poi l’incontro con l’avvocata Laura Onida, i contatti con il Centro antiviolenza Donna Eleonora di Oristano e la decisione di scappare da quell’inferno. “In realtà prima che riuscissi ad andarmene, lui fece una delle sue scenate, mi picchiò in pubblico e alcuni passanti chiamarono le forze dell’ordine”. È l’inizio della fine, scatta l’ennesima denuncia, poi il periodo nella casa protetta con l’aiuto delle operatrici del Centro. “Anche quando ero in comunità, lui continuava a ronzarmi intorno – riferisce- io non potevo uscire, non potevo usare i profili social, vivevo da reclusa mentre lui era libero”. Poi il processo, dopo cinque anni la condanna e adesso una nuova vita. “Vorrei dire a tutte le donne vittime di violenza che si può uscire dal tunnel – dice convinta – se ce l’ho fatta io, che ero completamente sola, ce la possono fare tutte. Bisogna avere forza e la costanza di denunciare sempre. Non possiamo permettere a nessuno di distruggerci la vita”.

Scarpette rosse in ceramica (foto Archivio Unione Sarda)
Scarpette rosse in ceramica (foto Archivio Unione Sarda)
Scarpette rosse in ceramica (foto Archivio Unione Sarda)

Il Centro antiviolenza

Fondamentale nella rinascita di Anna è stato il Centro antiviolenza Donna Eleonora di Oristano che come ricorda la ventinovenne l’ha seguita passo dopo passo, dandole tutto il sostegno necessario e proteggendola nella casa rifugio. “Non potrò mai ringraziarle abbastanza per ciò che hanno fatto per me, mi hanno salvato la vita”.

Il Centro antiviolenza, nato come centro di ascolto ai primi anni Duemila su iniziativa del Comune, dal 2015 è gestito dall’associazione Prospettiva Donna: una squadra di operatrici qualificate che danno tutto il sostegno (da quello psicologico a quello legale) alle donne che si rivolgono a loro per chiedere aiuto. Nel 2021 il Centro ha gestito 236 casi, i colloqui telefonici sono stati 2524, mentre quelli allo sportello 1050. La casa rifugio gestita ha ospitato 16 donne scappate dalla violenza con 11 minori. Tanti i casi di violenza sommersi, molte vittime hanno paura di denunciare e ribellarsi, da qui l’invito di Anna “a non aver paura e a farsi aiutare. Una seconda vita può esserci”.

Oristano inoltre da diversi anni è in prima linea contro la violenza domestica. Tante le iniziative a iniziare da quella delle scarpette rosse in ceramica realizzate dagli artigiani oristanesi che hanno sposato il progetto voluto dal Comune (che fa parte dell’Associazione italiana città della ceramica) e che ha fatto da apripista negli altri centri dell’Aicc. Fondamentale infine la rete messa in campo dalle varie istituzioni e dalle forze dell’ordine, oltre alle varie iniziative di sensibilizzazione nelle scuole.

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