Covid sfuggito a un laboratorio? «Non lo si può ancora escludere»
Una nuova ricerca rafforza l’ipotesi dell’origine della pandemia dal mercato di Wuhan, ma alcuni scienziati invitano alla prudenza: «Prove insufficienti per dirlo con certezza, si continui a indagare»Qualcuno, forse un po’ frettolosamente, l’aveva definito “la pietra tombale” sull’ipotesi dell’origine del Covid in laboratorio. Ma in realtà, secondo alcuni studiosi, il recente studio pubblicato dalla rivista Cell (che sembra avvalorare la tesi dell’origine naturale del virus, poi diffuso a partire dal mercato degli animali selvatici di Wuhan) non fornisce risposte così categoriche. E lascia invece aperti i dubbi ciclicamente riemersi fin da quando, nei primi mesi del 2020, il mondo ha iniziato a sentir parlare di quella che sarebbe rapidamente diventata una drammatica pandemia.
Equidistante
Tra gli altri è stato Mark Woolhouse, epidemiologo dell’Università di Edimburgo, a rilanciare il dibattito con un intervento sulla testata online di divulgazione scientifica The Conversation. E pur senza prendere posizione in favore di una teoria o di un’altra, Woolhouse invita alla prudenza nell’escludere una delle due.
Il suo articolo commenta l’analisi che confermerebbe il ruolo di Wuhan come epicentro del virus, pubblicata su Cell il 19 settembre e condotta da un team internazionale coordinato da Florence Débarre del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica. Gli studiosi hanno passato al setaccio le sequenze genetiche prelevate dagli animali nel mercato, nelle prime fasi dell’epidemia: in questo modo hanno potuto dimostrare, come si legge nel loro saggio, che “l'antenato comune più recente (Mrca) di Sars-CoV-2 campionato all'interno del mercato è geneticamente identico all'Mrca dedotto dalla pandemia nel suo complesso”. Considerazioni che sono ben comprensibili solo dagli addetti ai lavori, ma il testo prosegue spiegandone il significato: “Questa scoperta è coerente con l'emergere di Sars-CoV-2 all'interno del mercato di Wuhan”.
La ricerca ovviamente contiene molti altri elementi, anche se chiarisce che non si può ancora identificare l'esatta specie che avrebbe favorito il cosiddetto “spill over”, ossia il salto del virus dall’animale all'uomo: si era parlato a lungo dei pipistrelli, che sicuramente hanno un ruolo nella proliferazione dei vari coronavirus, ma in realtà i principali indiziati per il contagio umano in questo caso sarebbero gli zibetti o i cani procioni.
Le pubblicazioni
La pubblicazione su Cell, tra l’altro, ha fatto seguito ad altri due articoli apparsi su autorevoli riviste scientifiche, che hanno preso nettamente posizione a favore dell’origine della pandemia dal mercato degli animali. Sulla celebre Lancet, ad agosto, un editoriale non firmato definiva il Covid “un virus naturale che ha trovato la sua strada negli esseri umani attraverso il contatto banale con la fauna selvatica infetta”, aggiungendo che “le ipotesi alternative sono state improbabili per molto tempo e lo sono diventate ancora di più con un esame più approfondito. Coloro che spacciano con entusiasmo suggerimenti di coinvolgimenti di laboratorio hanno costantemente fallito nel presentare argomenti credibili”.
Sempre ad agosto, sul Journal of Virology, un articolo firmato da James Alwin, dell’Università dell’Arizona, insieme a vari altri ricercatori ha affermato che “la preponderanza di prove scientifiche indica un'origine naturale per Sars-CoV-2”. Mentre “attualmente non ci sono prove scientifiche verificate a supporto dell’ipotesi della fuga di laboratorio”.
Ma secondo Woolhouse non si può neppure dare per certa la teoria del mercato: “Entrambi sono scenari plausibili”. E riguardo agli esiti dello studio guidato dal Centro di ricerca francese, “la maggior parte dei commentatori, me compreso, considera questi ultimi risultati suggestivi ma non definitivi”. Per un motivo semplice: tutti i campioni su cui si basa l’analisi “sono stati raccolti settimane dopo l’inizio della pandemia e nessuno proveniva da un animale vivo. Inspiegabilmente, nessun campione è stato raccolto prima che il mercato fosse chiuso e gli animali distrutti”.
Il ragionamento dello scienziato scozzese parte da un’affermazione: “Nessuno crede che questo virus abbia avuto origine a Wuhan. I serbatoi naturali dei coronavirus simili alla Sars sono i pipistrelli ‘ferro di cavallo’, e non sono state trovate colonie infette entro 1.500 chilometri dalla città. Quindi deve essere stato portato sul mercato da qualche parte”. Eppure, “non è stato trovato alcun Sars-Cov-2 lungo le catene di fornitura degli animali venduti lì”.
Woolhouse ritiene che non si possa escludere che il virus sia stato portato nel mercato da una persona. E mette questa considerazione in relazione con uno dei principali argomenti (non scientifico, ma indiziario) della teoria alternativa: la rivendita di animali vivi da cui sarebbe partita la pandemia si trova “a meno di 20 chilometri dal principale laboratorio di ricerca cinese sul coronavirus, il Wuhan Institute of Virology. Questa – prosegue il docente – è una coincidenza straordinaria”. Per escludere categoricamente una correlazione tra i due fatti “servirebbero prove convincenti”, ma “quelle che abbiamo, semplicemente non sono così forti”.
In questa situazione, si legge ancora nell’articolo su The Conversation, è incomprensibile la veemenza verbale con cui viene criticato chi si ostina a riflettere sull’ipotesi della fuga da un laboratorio. Woolhouse ricorda che, nel 2020, quella era stata bollata come una teoria del complotto, influenzata da pregiudizi anti cinesi. E in quella fase sicuramente c’erano elementi di questo tipo. In seguito, però, proprio le reticenze delle autorità cinesi hanno rafforzato i dubbi. Perciò, conclude lo studioso, “il dibattito dovrebbe essere incoraggiato, non soffocato”.