I governi ne hanno timore, gli imprenditori ci scommettono, gli investitori ci giocano. Il risultato è una volatilità fuori dal normale e un'escalation in Borsa che ha portato il Bitcoin, moneta regina delle criptovalute, a toccare il valore di 58 mila dollari, massimo storico mai realizzato. Le oscillazioni in Borsa, tuttavia, sono imprevedibili e le dinamiche che governano il sistema delle monete virtuali certamente meno gestibili di quelle classiche. È vero che le monete alternative non sono una scoperta recente, ma l'esplosione informatica e tecnologica oggi ha amplificato i fenomeni, riducendo le distanze tra reale e virtuale.

Le monete secondarie Circuiti alternativi esistono da anni. Già un secolo fa in Svizzera nacquero i primi sistemi che cercavano di fare concorrenza al conio ufficiale. E gli economisti sono propensi a pensare che non sia un cattivo modello, soprattutto in periodi di crisi, per stimolare la ripresa con forme di pagamenti che integrano l'economia reale. L'esempio più vicino a noi è il circuito Sardex, nato a Serramanna qualche anno fa, e oggi diventato una realtà nazionale con interessi anche in altre regioni. Le monete alternative permettono spesso anche a chi ha poca liquidità, ma un'attività capace di produrre, di muovere il mercato con altre forme di pagamento. Da qui ai Bitcoin però ce ne passa. Intanto, perché comunque i circuiti delle monete virtuali di solito fanno riferimento all'economia tradizionale. I sistemi virtuali Diverso è il sistema Bitcoin, controllato attraverso blockchain, una catena di blocchi virtuali creati dall'intelligenza artificiale difficile da scardinare per assicurare la massima sicurezza. E fin qui va tutto bene. Ma dove nasce questa criptovaluta? In miniera, o meglio nel profondo del mondo virtuale, visto che un software produce la moneta attraverso il "mining", minatori dell'intelligenza informatica che sfornano criptovaluta. Non è un gioco di prestigio, ma un sistema che oggi vale miliardi di dollari, con operatori che si confrontano in Borsa e un sistema di exchange, di scambio, che periodicamente riporta i valori in monete correnti. Con le oscillazioni che abbiamo visto negli ultimi anni e che hanno provocato ricchezza ma anche tonfi terribili. L'ultimo a scommettere sui Bitcoin in ordine di tempo è stato il visionario Elon Musk, creatore della Tesla, l'auto del futuro: ha voluto investire oltre 1,5 miliardi di dollari (più o meno un ventesimo della capitalizzazione della sua azienda) in Bitcoin e aprire anche all'utilizzo della criptovaluta nelle transazioni che riguardano la sua società. La conseguenza è stata che, dopo la risistemazione dei valori della criptovaluta in seguito al periodico allineamento del mercato exchange, il calo del Bitcoin rispetto ai massimi delle ultime settimane, ha trascinato anche Tesla con un crollo delle azioni del 13%. Allo stesso tempo, continuano a esserci analisti che scommettono su una crescita del valore fino a 140 mila dollari per un Bitcoin.

Lo scetticismo A riportare tutti sulla terra, comunque, ci ha pensato negli ultimi giorni il segretario del Tesoro della nuova amministrazione Biden, Janet Yellen, prima donna negli Usa a guidare la Fed, che ha pungolato la criptomoneta definendola "estremamente inefficiente" e "altamente speculativa". Eppure la Yellen non esclude la possibilità di studiare con la Fed, la banca centrale americana, l'introduzione sul mercato di un dollaro digitale. Si torna dunque al pensiero di fondo che monete e sistemi di pagamento alternativi siano utili all'economia, purché scevri di sistemi altamente speculativi ed eccessivamente legati all'intelligenza artificiale. Insomma, l'uomo li deve governare.

Si può dire dunque che gli Stati, la cui prerogativa è sempre stata quella di battere moneta, accettano con difficoltà che ci siano altri sistemi di creazione di valore non controllati dall'entità centrale. Sulla creazione di una moneta virtuale, la Yellen si trova peraltro in linea con quanto sta facendo anche l'Unione europea, anche se la prudenza, da entrambe le sponde dell'Atlantico, la fa da padrona.

Moneta contro l'ambiente C'è poi un altro elemento del Bitcoin che non piace a molti Stati, oggi sempre più schierati sul fronte green e in prima linea nella lotta agli eccessi ambientali. La criptovaluta per eccellenza, anche se non richiede la produzione di carta per circolare sui mercati, è tutt'altro che verde. Il sistema del blockchain e dei mining per la sicurezza e la produzione della moneta virtuale richiede infatti enormi quantità di energia. Secondo studi realizzati dall'Università di Cambridge, il sistema Bitcoin consuma circa 121 terawattora all'anno. Per fare un paragone quanto il consumo energetico di uno dei primi trenta Paesi al mondo. Il perché è da ricercare proprio nel sistema del mining, ossia dell'attività di generazione di Bitcoin, che distribuisce circa sei volte all'ora la moneta virtuale ai client connessi alla rete in modo attivo. Per assicurare la potenza necessaria a far funzionare la rete e assicurarne la sicurezza, dunque, il consumo di energia è consistente.

Un simile fabbisogno energetico, dunque, equivarrebbe a 36 milioni di tonnellate di anidride carbonica in un anno, anche perché è impensabile che una tale quantità di elettricità arrivi soltanto da fonti rinnovabili. Per non parlare poi dei rifiuti elettronici prodotti. Dunque monete virtuali e innovative, ma problemi vecchi su energia, ambiente e rifiuti. Ecco perché la bolla potrebbe esplodere. E chi non domina le criptovalute, a quel punto, potrebbe pagare a caro prezzo l'essere entrato nel mercato del conio informatico.
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