Il Sud è andato in pensione. Il sorpasso, storico, è certificato dalla Cgia di Mestre sulla base dei dati ufficiali forniti dall’Inps. La media nazionale vede un pensionato per ogni lavoratore in servizio, e questo soltanto grazie al fatto che il ritiro dal mondo del lavoro è reso sempre più tardivo da norme progressivamente più restrittive per l’ingresso nel mondo dell’assegno a vita senza lavorare. Ma non al Sud, e nemmeno nelle isole maggiore, quindi anche in Sardegna: nel Meridione d’Italia e in quella insulare i pensionati sono ormai di più rispetto ai salariati, e questo non è affatto un bene. E c’entra, fra le altre cose, il continuo saldo negativo demografico che sta facendo invecchiare il Paese.

Considerando l’Italia intera, sono in attività 23 milioni 99mila lavoratori a fronte di 22 milioni 772 mila pensioni erogate. È una quasi parità, ma comunque gli “attivi” resistono e sono (ancora) di più rispetto a chi si è ritirato dal mondo del lavoro dopo aver versato i contributi previdenziali. Ma se la media nazionale ancora regge, nel Meridione+Sardegna+Sicilia si erogano 7 milioni 209mila pensioni, e al lavoro sono rimasti in sei milioni 115mila.

Un focus sulla Sardegna, grazie ai dati dell’Ufficio studi della stessa Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, appunto la Cgia, rivela che le pensioni erogate a residenti nell’Isola sono 649mila e che a versare i contributi (quindi, i lavoratori in attività) sono invece 566mila sardi, con un saldo negativo di 83mila tra attivi e a riposo. Cifre che fanno saltare il banco dell’Inps, oltretutto in un’Isola dove si fanno pochi figli parte dei quali, dopo l’inutile ricerca di un posto di lavoro nella loro terra, si trasferiscono nella Penisola o all’estero e lì mettono su famiglia. Regalando così un avanzamento demografico a territori economicamente favoriti, sottraendo figli alla loro terra d’origine. È anche così, che si è arrivati a pagare più pensioni rispetto alle buste-paga.

Peggio della quint’ultima Sardegna, nella classifica pubblicata dalla Cgia, sono solo Campania (quart’ultima) e poi il podio della media sballata: terzo posto per Calabria (226mila pensionati in più rispetto ai lavoratori attivi), penultima la Puglia a con mille pensionati in più, prima in classifica la Sicilia con una differenza di 303mila persone tra occupati e pensionati, a favore di quest’ultima. Tutto questo, mentre l’Italia intera ha 327mila lavoratori in più rispetto al numero dei pensionati: sono frutto dei 748mila occupati in più (sempre rispetto ai ritirati) del Nordovest, 695mila del Nordest e 385mila del Centro Italia. Poi arriva il Mezzogiorno, tra cui la Sardegna, che conta quasi un milione e centomila pensionati in più rispetto ai lavoratori attivi.

Può consolare la Sardegna il fatto che, pur essendo nella lista nera, può contare su una discreta performance della provincia di Cagliari, che registra diecimila lavoratori attivi in più rispetto al numero delle pensioni erogate (163mila i primi, 153mila i secondi). In deficit, invece, le altre tre province: Sassari ha 171mila lavoratori attivi contro 188mila pensionati, a Oristano si procurano il reddito in cinquantamila e provvede l’Inps per gli altri 71mila, a Nuoro (la peggiore tra le province sarde) producono un reddito settantamila persone e percepiscono l’assegno previdenziale altre 91mila. Tutto questo, in una classifica nazionale in cui Milano è prima (più occupati e che pensionati, in un rapporto un milione 486mila rispetto a un milione 144mila) e la peggiore provincia è quella di Lecce: 244mila occupati a fronte di 341mila pensionati.

La tabella elaborata dalla Cgia di Mestre, su dati ufficiali dell’Inps, racconta certamente realtà economiche diverse tra Nord, Centro e Sud Italia+Isole, certamente, anche se una parte non certo prevalente, ma nemmeno insignificante, di divario tra lavoratori attivi e pensionati dipende dal fatto che diversi ex immigrati nel Nord, al momento di andare in quiescenza, decidono di tornare nei luoghi d’origine al Sud. Per nostalgia, per contatti familiari e anche perché il costo della vita è più basso, quindi nel Meridione la pensione è un po’ più ricca per quanto riguarda il potere d’acquisto.

Nell’analisi della Cgia di Mestre si sottolinea che questi dati preoccupanti sul rapporto tra lavoratori in attività e pensionati sono causati da tre fenomeni: si fanno pochi figli specialmente al Sud, la popolazione invecchia e ci sono tanti lavoratori irregolari nel Meridione, che producono il proprio reddito ma sono sconosciuti all’Inps in quanto non versano contributi previdenziali.

Difficile riequilibrare il sistema, anche perché le soluzioni richiederebbero – per rovesciare la situazione – almeno vent’anni, meglio se venticinque. Dunque, si deve far emergere i lavoratori “in nero”, che secondo l’Istat in Italia sono tre milioni: prendono servizio ogni giorno nei campi, nelle fabbriche e nelle case degli italiani ma lavorano come “irregolari”, quindi niente tasse né contributi versati. E poi, analizza sempre la Cgia, sarebbe il caso di incentivare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro: l’Italia è ultima in questa classifica europea, con un tasso di occupazione femminile che corrisponde alla metà della media nell’Ue. Infine, si dovrebbero incentivare i giovani italiani a metter su famiglia. Se non si farà, non soltanto rischiamo di far crollare il sistema delle pensioni, ma anche quello sanitario che già tanto bene non sta.

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