Sparsi per il mondo ci sono circa 500 bambini che sanno di avere una mamma e un papà adottivi che vivono in Italia ma che, a causa della pandemia, non possono raggiungerli. È il numero, arrotondato per difetto, di un dramma che pare non trovi soluzioni: questi bambini vivono nelle case famiglie, negli orfanotrofi o con famiglie affidatarie in diversi Stati che fanno parte del circuito delle adozioni internazionali e, quando per loro è stata trovata una famiglia con tutti i requisiti giusti per accoglierli, il Covid ha bloccato tutto. E dire che il 2020 sarebbe dovuto essere l'anno in cui sbloccare una situazione di stallo che, nel 2019, aveva fermato le procedure di ingresso di bambini stranieri al numero di 969. Era un dato in calo del 14 per cento rispetto al 2018, quando le procedure di adozione erano state 1.130, lontanissimo da quello degli anni precedenti, basti pensare che nel 2010 i bambini stranieri adottati in Italia furono circa quattromila. Ma mai si era scesi sotto le mille adozioni: erano crollati i numeri della Cina (46 adozioni del 2019 rispetto alle 84 del 2018) ed erano diminuite, anche se con numeri diversi, quelle della Federazione Russa (da 152 del 2018 alle126 del 2019), della Bielorussia (72 rispetto a 91 nel 2018) e del Vietnam (37 rispetto alle 54 del 2018). Si sperava insomma che il 2020 fosse l'anno della rinascita e tanti genitori avevano iniziato a preparare le camerette per i nuovi arrivati con la stessa gioia con cui si prepara un corredino quando una mamma scopre di aspettare un figlio.

Bisogna entrare nelle vite di queste persone per capire l'entità del dramma che stanno vivendo. Quando si decide di diventare genitori adottivi bisogna infatti mettere in conto lunghi anni di trafile burocratiche. Si comincia con le pratiche in Italia perché un Tribunale italiano deve stabilire se la coppia che si fa avanti è adatta ad accogliere un bambino. Iniziano allora le visite mediche, i controlli anche psichiatrici, si scava (come è giusto che sia) nella vita dei due coniugi perché sono le persone a cui si deve poter affidare senza alcun dubbio una giovane vita da integrare per sempre in una nuova famiglia. Finita la trafila, se il percorso si chiude positivamente, gli aspiranti genitori possono presentare una "candidatura" da proporre ai diversi Stati che fanno parte del circuito internazionale delle adozioni e poi inizia l'attesa. "Noi abbiamo aspettato 4 anni - raccontano Danilo Licheri e Valentina Pisano, coppia sarda che vive a Roma e che, prima di proporsi per l'adozione internazionale per due anni aveva tentato, ma invano, di adottare un bambino italiano - nell'ottobre del 2019 finalmente ci hanno detto che era stato individuato un bambino adatto alle nostre caratteristiche". In base alla loro età si aspettavano un bambino di circa cinque anni, questo ne aveva sette ma non c'è stato nemmeno un istante di indecisione: " Sin da quando ho visto la foto l'ho amato: era nostro figlio". Come Valentina e Danilo, tante altre coppie, in tutte le regioni d'Italia, in quei mesi hanno ricevuto una fotografia. Generalmente la prassi vuole che, nel momento in cui il cosiddetto abbinamento va a buon fine, si iniziano a preparare tutte le carte, poi la famiglia va a incontrare il bambino (che fino a quel momento non sa nulla per evitare qualsiasi tipo di trauma nel caso in cui la procedura dovesse bloccarsi) e poi, dopo il primi incontro e un primo periodo di adattamento, si riparte tutti insieme e la nuova vita delle famiglie può continuare. Valentina e Danilo e come loro tutte le altre famiglie hanno iniziato a preparare la cameretta, hanno informato le loro famiglie della loro immensa gioia e le poche foto e i video ricevuti sono diventati il motore delle loro giornate in attesa di quella "pergamena verde" che dava il via al fatidico viaggio per il primo incontro: "Ero talmente felice - racconta Valentina - che ho anche iniziato a studiare il cinese. Immaginavo e immagino tutt'ora il primo incontro con mio figlio: un momento magico in cui vorrei scambiare alcune parole con lui senza bisogno dell'interprete". Come lei tante mamme, come Danilo tanti altri papà.

Tante famiglie, tante vite diverse che il destino ha finito per far incontrare per iniziare una battaglia. Già, perché se a ottobre 2019 e poi a novembre e poi a dicembre l'attesa di novità che non arrivavano era quasi scontata perché la burocrazia ha i suoi tempi, con l'esplosione della pandemia tutto si è fermato. Qualcuno è riuscito a partire prima che le frontiere di mezzo mondo venissero chiuse con il risultato che ha sì incontrato il figlio adottivo ma non è ancora potuto rientrare in Italia. Chi è stato costretto ad attendere ha dovuto affrontare il lockdown come un doppio incubo, senza più un messaggio se non quelli di incoraggiamento dell'ente delle adozioni a cui si sono affidati. Appena è finito il lockdown hanno sperato in quella telefonata che annunciava loro l'arrivo del visto ma niente di tutto questo è accaduto. Dalla maggior parte degli Stati, Cina in testa, c'è una totale chiusura a queste mamme e papà angosciati, Una chiusura che invece - e questo è incomprensibile oltre che inaccettabile - per il commercio e per il turismo.

È passato un lunghissimo anno, i vestiti comprati a fine 2019 sono inutilizzabili, i giochi, i pastelli, i libri per bambini che hanno arredato le camerette non sono ancora stati utilizzati. Le famiglie hanno finito per rintracciarsi l'una con l'altra, da mesi lanciano appelli, chiedono a tutte le istituzioni di aiutarle ma a parte tante promesse, tanti incontri, a oggi nulla si è mosso. Sono tutti adulti, riescono a gestire il loro dramma ma la loro angoscia è per quelli che chiamano "i nostri figli". Piccole anime venute al mondo in luoghi dove sino a oggi hanno conosciuto solo sofferenza, abbandono e solitudine e che la parola burocrazia non sanno nemmeno che cosa significhi. Ma il vero dramma è che ancora non conoscono il senso di protezione che può dare l'abbraccio di una mamma e di un papà, non conoscono l'amore incondizionato che solo due genitori possono darti. Chissà che prima di Natale qualcuno non si ponga davvero il problema.
© Riproduzione riservata