All’inizio li chiamavano bimbi in provetta, definizione forse non troppo rispettosa ma che dava l’idea di qualche strana diavoleria moderna. E in effetti un po’ lo era, perché la scienza medica si stava impadronendo di una delle facoltà da sempre considerate inaccessibili all’attività umana, prerogativa esclusiva del Divino, o del principio creatore della Natura: la procreazione. Sembra ieri, ma la prima “bimba in provetta” italiana ha ormai 40 anni: è nata infatti l’11 gennaio del 1983, a Napoli. Si chiama Alessandra Abbisogno, è un’insegnante di matematica e scienze oltre che una biologa nutrizionista.

A differenza di quel che succede in altri campi, l’Italia non approdava a quella conquista molto più tardi dei pionieri: la prima creatura venuta al mondo con la fecondazione in vitro era stata infatti, meno di cinque anni prima, l’inglese Louise Brown. Fu grande, nel 1983, il clamore suscitato dalla novità nel nostro Paese: con le immancabili polemiche da parte di chi riteneva che il genere umano si stesse avventurando in terreni da lasciare appunto alla divinità. Oppure i timori di chi sospettava che nascere grazie alla nuova tecnica potesse rendere gli individui più deboli degli altri.

L'ospedale Microcitemico di Cagliari, uno dei centri all'avanguardia in Italia sulla procreazione assistita
L'ospedale Microcitemico di Cagliari, uno dei centri all'avanguardia in Italia sulla procreazione assistita
L'ospedale Microcitemico di Cagliari, uno dei centri all'avanguardia in Italia sulla procreazione assistita

Da allora la procreazione medicalmente assistita (Pma) ha fatto passi da gigante, sia sotto il profilo scientifico che sotto quello sociale e culturale. Nessuno nutre più timori per la salute dei nati (la dottoressa Abbisogno è una perfetta testimonial in tal senso), e le pratiche fecondative sono sempre più diffuse e socialmente accettate. In Italia vengono applicate in 332 centri, di cui 101 pubblici e 20 privati convenzionati: tra quelli pubblici, uno di quelli all’avanguardia è all’ospedale Microcitemico di Cagliari.

I numeri del Ministero

Ormai quasi il 3% per cento dei neonati italiani, in ciascun anno solare, arriva in seguito a tecniche di Pma (compresa l’inseminazione artificiale intrauterina, che non richiede la fecondazione extracorporea dei gameti, ma riguarda meno di un decimo delle nascite totali). I dati sono quelli ufficiali contenuti nella più recente Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40 sulla Pma, predisposta dal ministero della Salute e presentata nel settembre del 2022.

L’ultimo anno a cui fa riferimento è però il 2020, che è anche quello che ha segnato per la prima volta un’inversione di tendenza: il numero dei nati vivi dopo cicli di procreazione medicalmente assistita era inferiore al totale dei dodici mesi precedenti. Ma è evidente che si tratta solo di una conseguenza della pandemia, col relativo lockdown e tutto ciò che, com’è noto, ha stravolto il sistema sanitario e le consuetudini delle persone.

Nel 2020, in particolare, sono stati 11.305 i bambini e le bambine che hanno visto la luce in seguito a un ciclo di Pma, pari al 2,8 per cento di tutti i nati nello stesso periodo in Italia. L’anno prima erano stati 14.162: il Covid ha dunque determinato un calo poderoso, pari al 20,1 per cento. Il 2019 aveva invece segnato l’apice di una crescita lenta ma costante: l’anno precedente erano state registrate appena 23 nascite in meno, nel 2017 erano invece rimaste leggermente sotto la soglia delle 14mila, e così via fino ai 12.720 neonati partoriti nel 2014, la prima delle sette annualità prese in considerazione dalla relazione ministeriale.

Età media in crescita

Come detto, le tecniche cosiddette di primo livello (inseminazione semplice) hanno portato in realtà a sole 1.047 nascite. Più significativi i numeri relativi alle tecniche di secondo e terzo livello, sia con gameti della coppia che di donatori esterni, che comprendono Fivet (Fecondazione in vitro con embryo-transfer), Icsi (Microiniezione intracitoplastica), e i procedimenti vari di scongelamento di embrioni e ovociti. In tutti questi modi sono state trattate, nel complesso, 57.243 coppie, arrivando a 14.462 gravidanze: praticamente una coppia su quattro è arrivata ad avviare la gestazione. Non tutte, ovviamente, sono giunte a conclusione: i parti sono stati 9.635, pari a due terzi delle coppie trattate, e hanno portato a 10.258 nati (per effetto di alcune gravidanze gemellari, non rare quando si utilizza la Pma).

Una dottoressa all'opera in un centro per la fecondazione assistita (foto Ansa/Archivio US)
Una dottoressa all'opera in un centro per la fecondazione assistita (foto Ansa/Archivio US)
Una dottoressa all'opera in un centro per la fecondazione assistita (foto Ansa/Archivio US)

È interessante anche un altro dato riportato nella relazione al Parlamento, quello relativo all’età media delle donne che cercano la maternità attraverso l’assistenza medica. Col passare degli anni risulta sempre più elevata: nel 2020 era pari a 36,9 anni per chi si è sottoposta a tecniche di fecondazione con gameti della coppia, e aumenta la percentuale di donne sopra i 40 anni, che passa dal 34,6 del 2019 al 35,8 del 2020.

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