Prima il contenitore, un richiamo esplicito agli anni Ottanta, al kitsch delle sale giochi e ai loro colori artificiali, a quel particolare mondo. Poi il contenuto, una virata verso i pensieri più intimi, verso l'essenzialità, la misura. Il nuovo disco di Filippo Graziani, "Sala giochi", vive di questo contrasto e va nel profondo, rallenta il passo e libera una voce mai così emozionante. Talento di famiglia, come non si dovrebbe forse dire, ma talento che colpisce il cuore, come colpiva - forte - il padre Ivan.

"Sala giochi" è un disco contenuto su amore, adolescenza, ricordi. Che valore hanno i riferimenti agli anni Ottanta?

"Era più una questione estetica, di suono e di immagine, perché i pezzi e i testi sono di stampo cantautorale e parlano della vita, dell'amore, rimanendo in quella tradizione. L'idea degli anni Ottanta era per dare un riferimento visivo e temporale alle canzoni".

Perché questa esigenza?

"Perché fondamentalmente sono un nerd... Già nel primo disco avevo iniziato a ragionare sulla composizione elettronica di quel tipo, con quei riferimenti. E poi perché sempre più negli ultimi anni – e ormai dagli Ottanta ne sono passati più di trenta – quel decennio è diventato ufficialmente vintage. Quindi c'è un po' di nostalgia, voglia di riscoprire suoni che mi hanno sempre accompagnato e strumenti su cui ho sempre messo le mani".

A proposito di Ottanta, questo inverno c'è stata la celebrazione della serie “Stranger Things”...

"Esatto, il mood è proprio quello. Dopo 'Drive' è una delle ultime colonne sonore veramente belle che abbia ascoltato. Io sono un appassionato e spero di poterne comporre una un giorno".

Sarebbe un altro genere di lavoro...

"Ma per com'è il mio approccio alle cose, per cui parto sempre dalla musica, sarebbe una cosa naturale, da sperimentare".

In posa per il servizio fotografico per il nuovo disco
In posa per il servizio fotografico per il nuovo disco
In posa per il servizio fotografico per il nuovo disco

Nel disco ci sono diverse canzoni lente, una scelta?

"È stato un po' un imparare dagli errori passati".

Cioè?

"Nel primo disco, 'Le cose belle', per quanto ci sia affezionato aveva troppi livelli, troppi sbalzi e poco spazio per la voce, con i sintetizzatori che a volte andavano a 'sbattere' contro la voce. Questo è più calibrato e pensato per cantarlo. C'è spazio nelle canzoni, ha un impalcatura minimale che fa risaltare la voce".

Lo considera un lavoro giovanile? E per contro questo è un disco, diciamo, “adulto”?

"Sono un chitarrista, mi piace suonare i synth, ma alla fine il mio quadro è la chitarra acustica e la voce. Qui mi sono misurato di più, lì mi ero sfogato".

La copertina del disco "Sala giochi"
La copertina del disco "Sala giochi"
La copertina del disco "Sala giochi"

Gli anni Ottanta rappresentano per lei la primissima parte della sua vita, pre adolescenziale.

"Sì, sono nato nel 1981, quindi direi di sì".

Dunque nei ricordi di quegli anni ci saranno sicuramente le estati passate ad Alghero...

"Sicuramente. Ma mia nonna abita ancora lì. Ho tanti parenti in città, una buona parte della mia vita. Quando passi l'infanzia e la prima adolescenza al mare alle Bombarde è difficile che ti accontenti di andare a Rimini (ride). Ricordo che ad Alghero, quando andava male, si stava come minimo un mese. Ho dei bellissimi ricordi e un rapporto con la città che continua".

Cosa le piace di Alghero oggi rispetto a quei tempi?

"La città si è molto ripulita, oggi è una vera chicca. Tutta la passeggiata nuova che gira intorno è meravigliosa. Sono cresciuto nel centro di Alghero, in via Gioberti".

Tornerà a breve a suonare?

"Sono venuto diverse volte, mai quanto avrei voluto però. Anche questo inverno ho fatto una serata. Spero proprio di poter portare questo disco anche in Sardegna. Se non d'estate, magari d'inverno in teatro o in qualche club".

Qualche tempo fa aveva detto che si sarebbe tatutato una bardunfula sarda. L'ha più fatto?

"Certo! Sono un uomo di parola. L'ho tatuata sul tricipite destro. Un segno che unisce le due parti del mio sangue, quella sarda che rappresenta mia nonna, e la parte abruzzese, perché sotto la bardunfula ho fatto mettere le coordinate del Gran Sasso d'Italia".

Tornando all'album, nella canzone "Appartiene a te" cita suo padre Ivan e sua madre Anna. È una dedica?

"Non così aperta come si potrebbe pensare. Non è una dedica precisa, parlo dei miei genitori, ma calando tutto nel mondo della canzone, perché dico che ho gli occhi di mia madre, ma non è così. E nemmeno la mia bocca è simile a quella di mio padre. Era il mio modo per dire che in un rapporto, tutto quello che non ti posso dare, perché non appartiene a me, è tuo".

Un grande come Tanino Liberatore le ha donato un disegno per il nuovo disco.

"Ci siamo conosciuti a un concerto in un paesino dell'Abruzzo quando è venuto a salutarmi. Sono anche andato a trovarlo a Parigi. Poi timidamente gli ho parlato del disco. Un progetto che è andato avanti due anni, poi quando stavamo chiudendo l'album è arrivato un file con quell'illustrazione meravigliosa".

Ha disegnato i famosi occhiali rossi di suo padre appesi al colletto della t-shirt. Un bel gesto, no?

"Sì, voleva creare un legame tra me e mio padre, perché ha disegnato due suoi dischi. È la sua visione. Peccato che, per problemi di tempi, non sarà la copertina. Ma di quell'immagine, se il disco andrà bene, ne voglio fare la copertina di un'edizione in vinile. Sarebbe fantastico".

Il disegno di Tanino Liberatore
Il disegno di Tanino Liberatore
Il disegno di Tanino Liberatore
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