Direttore d'orchestra a 29 anni: Leonardo Sini, il talento sardo che "dipinge la musica"
Studi al Conservatorio di Sassari, perfezionamento all'estero: con la bacchetta trasmette il messaggio del compositoreA 29 anni è già direttore d'orchestra, un giovane talento tutto sardo che con la sua bacchetta coordina i musicisti, interpreta lo spartito del compositore e con sfumature e colori mette la propria anima nell'esibizione. Leonardo Sini in questi giorni è impegnato a Cremona, Pavia e Bergamo con "La sonnambula" di Bellini ma tanti altri sono gli spettacoli per i prossimi mesi in una stagione davvero intensa.
Famiglia di Ploaghe, nato a Sassari, fino all'estate scorsa ha vissuto ad Amsterdam poi è tornato in Italia per i concerti e le produzioni operistiche. Anche se, appena può, raggiunge la Sardegna. "È la mia terra, lì c'è la mia famiglia, i miei amici più cari. Ricarico le batterie e riparto con slancio".
Diplomato in tromba al Conservatorio di Sassari, suona anche il pianoforte che usa per studiare la partitura.
Quando è nata la passione per la musica?
"Avevo 10 anni e, come spesso accade nelle feste di paese, seguivo la banda locale a Ploaghe. Mi ha da subito affascinato la tromba e appena possibile ho cominciato a studiarla. Poi mi sono diplomato al conservatorio di Sassari e perfezionato a Londra, dove ho completato il mio master".
Quante ore al giorno dedica alle note?
"Difficile quantificare perché è qualcosa che mi coinvolge completamente. E il tempo libero lo uso per prepararmi per altre produzioni".
Cosa vuol dire fare il direttore d'orchestra?
"La figura spesso è sottovalutata, chi segue un concerto non ha bene un'idea, lo vede muoversi davanti all'orchestra ma non si viene ben capiti. La funzione base è quella di coordinare i musicisti e dare unità a quello che si esegue, a volte ci sono fino a 100 elementi. E nelle opere anche cantanti e coro, insomma tante cose che funzionano ma devono essere portate a un fulcro comune".
Cosa fa esattamente?
"Il direttore coordina, è il tramite fra la partitura scritta dal compositore e ciò che è il risultato fruibile dal pubblico. Con la sua sensibilità musicale trasmette il messaggio del compositore. Ci sono tanti colori e sfumature possibili, il direttore dà un'interpretazione: riesce a mettere accenti, dipinge la musica, e dà anche ispirazione ai musicisti".
Si crea tra lei e l'orchestra un qualche legame?
"Sì, in quel momento sono responsabile dell'evoluzione artistica. Anche se la figura del direttore è esterna alle dinamiche dell'orchestra in un certo senso, e quindi per definizione non si può identificare al suo interno. Infatti mi danno del lei, c'è una specie di apparente distacco che credo sia normale quando c'è quella che possiamo chiamare una gerarchia però molto mitigata anche dalla mia età".
In effetti non è un po' strano a 29 anni fare il direttore?
"L'età media è più alta, anche se negli ultimi tempi ci sono un po' di giovani direttori che stanno facendo una carriera importante. Carriera che va avanti per tanti anni e consente di acquisire sempre più esperienza. Quelli più anziani hanno dalla loro questa forza che un giovane si sta costruendo. Ma teniamo presente che la freschezza e l'entusiasmo dei giovani sono importanti nella musica classica".
A che prezzo?
"Pochi amici, per lo più nel settore della musica, condividendo lo stesso lavoro capiscono le difficoltà. È un mestiere che richiede molti sacrifici, sto fuori casa per quasi 11 mesi l'anno, mi sposto spesso. Insomma una grande instabilità ma tante soddisfazioni. Cerco nei momenti liberi di vedere gli amici più cari perché sentirsi al telefono non è la stessa cosa".
Tra i musicisti ha incontrato molti sardi?
"Sì, diverse volte. Per esempio a Genova c'è un primo flautista cagliaritano nell'orchestra. A Pavia una violoncellista di Sassari. Non è raro insomma. Del resto l'ambiente è molto circoscritto e capita di 'incrociare' conterranei".
L'opera che ha diretto che le è rimasta nel cuore.
"Dal punto di vista operistico sono all'inizio, ho studiato più che altro fuori dall'Italia, a Londra e in Olanda, ho frequentato un corso a Siena alcuni anni fa ma più che altro il mio è un repertorio sinfonico. La prima opera che ho diretto a ottobre è 'La sonnambula', poi ci sono 'La bohème' a Genova, amo anche 'La traviata'. Le conosco bene e sono contento di dirigerle".
Il palco più ambito.
"Sono tantissimi. Ovviamente La Scala per eccellenza. Ma anche Firenze e Genova sono piazze importanti. Milano resta il sogno di tutti i direttori".
Una figura di riferimento.
"Non una in particolare ma diverse che ammiro molto anche del passato. Solo per fare qualche nome: Carlos Kleiber, Claudio Abbado sono quelli che ascolto. E ognuno ha poi un suo tipo di repertorio".
Dalla Sardegna quindi si può ambire a carriere internazionali? O lei è un'eccezione?
"Dipende. Io sono molto legato alle mie origini. La mia terra mi ha dato le prime esperienze in campo musicale, ma per la mia carriera andare all'estero è stato fondamentale. Un sardo che resta deve fare i conti con i limiti dell'Isola. Quindi è importante avere radici salde, ma andare 'fuori' e confrontarsi con altre persone e altre culture è indispensabile. Infine si può tornare con un bagaglio addosso: è questa la vera felicità".
Si è già esibito in Sardegna?
"Come direttore al concerto di Natale insieme all'orchestra De Carolis l'anno scorso al duomo di Sassari. È stato un enorme piacere perché avevo suonato con loro diverse volte come trombettista in passato. Tornare e dirigere è stato davvero emozionante".
Un direttore d'orchestra può vivere di sola musica?
"Assolutamente sì. Veniamo pagati a spettacolo. Bisogna sfatare il mito negativo nell'immaginario comune per cui fare il musicista non sia un 'lavoro vero'. È uno stereotipo anche se ammetto che un fondo di verità esista. Vivere di musica oggi è difficile ma se ci si riesce non c'è niente di meglio: fai quello che ti piace e ne fai il tuo mestiere".
Immaginava di arrivare a questi livelli?
"Per anni ho suonato la tromba, fare il direttore era un obiettivo che non mi ero prefissato ed è stato invece un passaggio naturale. Ero affascinato da quella figura, cercavo di capire le dinamiche e mi sono avvicinato a questo ruolo studiando le partiture. Poi la cosa mi ha assorbito totalmente. Fin quando fai parte dell'orchestra hai una visione ridotta, ognuno ha la sua linea, ma manca la dimensione totale del lavoro".
Qualcuno l'ha incoraggiata?
"I miei insegnanti nelle prime lezione di direzione. Evidentemente hanno trovato un qualcosa di istintivo".
Si chiama talento?
"Forse, non voglio esagerare".
Com'è andata la prima volta sul podio?
"Sorprendentemente mi sono sentito a casa, a mio agio. Ero teso ma anche rilassato".
Che musica ascolta un direttore d'orchestra di 29 anni?
"Un po' di tutto. Musica leggera italiana, jazz, rock. Tranne quella da discoteca, non mi piace neanche andare in quei locali, il volume è troppo alto. Preferisco luoghi in cui si possa parlare".
Classici nostrani?
"De Andrè, De Gregori".
Lontano dai gusti dei suoi coetanei...
"Sì, ma solo un po'".
Sabrina Schiesaro
(Unioneonline)
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