Sardegna sotto attacco: incendi, eolico & affari
Nelle zone incenerite dalle fiamme no al pascolo, sì alle palePer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Un cimitero verticale di carbone, una distesa bianca di cenere. Il serpente che fu d’asfalto, ridotto da tempo in un percorso attorcigliato di buche e insidie, è ciò che resta di un mesto cammino di fuoco al cospetto del Gennargentu. Le radici profonde di quelle imponenti querce secolari sbuffano ancora odore acre e fumo bianco, come ultimo rantolo di una vita sconfitta da una “fiamma ossidrica” che ha raso al suolo ogni speranza di questa terra. Niente è stato risparmiato dalla furia di quelle onde infuocate, impetuose, alte e violente che hanno spazzato inesorabilmente il proscenio “dirimpettaio” della città che fu di Cosima, la celebre Grazia che tanto decantò nei suoi romanzi gli orizzonti dell’Atene di Sardegna.
Niente è rimasto
Ora, qui, dentro Perdas Arbas, nel proscenio che fu rigoglioso di Sa Serra, nelle cime a ridosso di Prato Sardo, non è rimasto più niente. Il sughero “ignifugo” che avrebbe dovuto proteggere i mastodontici piloni delle querce più antiche ha resistito sinché ha potuto. Ha ceduto nella notte, quando squadre a terra e in volo hanno dovuto fermarsi per lasciare che quella corona di fuoco, visibile come un vulcano orizzontale in eruzione dalla cima di Badu ‘e Carros, consumasse la sua furia nefasta. Pastori, volontari, Vigili del fuoco e Forestali hanno, come per miracolo, salvato greggi e mandrie, ma quei pascoli ora sono terra bruciata, appesi alla resilienza infinita della natura. Per il resto lì non ci potrà passare nemmeno un quadrupede a spasso, per dieci anni in tutte le aree percorse dalle fiamme è vietato di tutto e di più, a partire dal pascolo e dalla caccia.
Pascolo vietato
La legge-quadro, la 353 del 2000, non lascia margini: dieci anni di inerme calvario per proprietari terrieri e allevatori. Il fuoco per loro è una iattura perenne, una maledizione decennale. Un calvario immane per chi si vede costretto a pagare tasse per quella “carbonella” sparsa al posto del pascolo. Un passaggio chiave, quello delle cause di questi incendi, in una nefasta devastazione ambientale da sempre alla ricerca di un perché. Un dato sembra assodato in questo scenario che si abbatte in maniera sempre più violenta sull’Isola del sole e del vento: interessi e affari covano sopra e sotto la cenere di ogni oasi percorsa inesorabilmente dalle fiamme. Interessi apparentemente invisibili, impercettibili ai più, segnati da un processo che non si esaurisce in una resa dei conti condominiale o tra confinanti. Il processo appare più ampio, a lunga gittata, quasi una strategia studiata a tavolino, una vera e propria missione del «degrado ambientale». La sequenza è una mappa che da anni si macchia di nero, dal Montiferru alla Barbagia, dalle pendici del Monte Linas a quelle del Marganai, uno sconfinato attentato al “creato” di Sardegna che non conosce confini.
Cartello & ritardi
Un ambiente rigoglioso e paesaggisticamente unico messo a repentaglio da mani criminali e business inconfessabili, certamente favoriti da un sistema antincendio che lascia vuoti incolmabili a partire da quella gestione aerea della lotta alle fiamme che, anno dopo anno, appare sempre più degradato con meccanismi d’appalto e di “capitolati” che lasciano molte ombre e troppe insidie. Dislocare, per esempio, tre Canadair su Olbia, nessuno al centro e al sud dell’Isola, significa non avere una risposta omogenea e articolata sul territorio regionale.
Ripartenza del fuoco
L’intempestività dell’intervento, poi, sta dimostrando, sugli scenari di queste ultime settimane, rischi evidenti, come il caso della “ripartenza” dei focolai, da Villacidro-Villasor a Nuoro, da Isili a Osidda. Azioni tardive, il mancato completamento delle bonifiche per sopraggiunta impossibilità del volo notturno, l’obbligo di far ripartire i mezzi aerei l’indomani mattina, con ulteriori dispersive dislocazioni dei mezzi aerei che lasciano sguarnite rilevanti aree del territorio regionale.
Tempo & denaro
Un meccanismo che consuma tempo e denaro, con quelle quattro gare d’appalto colpevolmente ignorate dalle compagnie aeree che le hanno mandate deserte, con l’unico obiettivo di alzare il “prezzo” dell’antincendio, una sorta di “cartello al contrario” con l’obiettivo di far saltare la lotta alle fiamme dopo l’inchiesta penale della Procura di Cagliari sul “cartello del fuoco”.
Degrado ambientale
A tutto ciò, però, si aggiunge la “strategia del degrado ambientale”, una congiura cruciale che porta a vendere, a deprezzare il bene territorio, a rendere inconciliabile qualsiasi progetto di sviluppo endogeno, legato alle ricchezze ambientali, agropastorali, naturalistiche e turistiche della Sardegna. Cosa dovrebbe fare un allevatore che si vede impossibilitato per dieci anni ad utilizzare quei terreni percorsi dalle fiamme, che si ritrova con mutui da pagare e obblighi comunitari da ottemperare? La scelta è quasi obbligata: vendere, anzi svendere. Il connubio incendi-speculazione energetica è, per adesso, un capitolo tutto da scrivere.
Il caso Nuoro
L’incendio di Nuoro è un caso a sè. L’incendio di “Sa Serra”, che ha devastato quasi mille ettari di aree boschive, ricade esattamente nell’areale di due progetti eolici. Il primo: si chiama “Intermontes”, tredici pale, ognuna alta 180 metri, da “Sa ‘e Balia”, sulla strada provinciale Nuoro-Benetutti, sino a “Janna ‘e sa Chida”. È in mano agli spagnoli di “Edp Renewables”. Il secondo è intercontinentale: proprietà della «Nuoro Wind s.r.l.», dichiarata di proprietà al cento per cento della «YR Nuoro Pte Limitd», con sede a North Bridge Road nel grattacielo centrale di Singapore. Un parco eolico di 15 torri giganti, 135 metri di altezza per il pilone e 170 metri il diametro delle pale, complessivamente sopra i 220 metri d’altezza, società con a capo la “Yinson Holdings Berhad”, una multinazionale malese, che si occupa di investimenti su larga scala, con particolare dedizione alla produzione offshore, pale eoliche in mare, e alle energie rinnovabili, compresa la gestione di navi di supporto offshore.
Einstein Telescope, lo stop
Qui, in queste terre bruciate, nessuno dei due avrà vita facile: il capoluogo barbaricino rientra tra quelli inclusi nell’area di tutela dedicata all’Einstein Telescope di Lula dove gli impianti eolici sono stati dichiarati vietati. Il rischio della saldatura tra gli interessi speculativi e l’apparente maledizione degli incendi è, però, scritto in una norma di legge sino ad oggi rimasta dormiente. Nella legge-quadro nazionale sugli incendi boschivi c’è scritto: nelle aree percorse dalle fiamme «è vietato il pascolo e la caccia», ma c’è una deroga-ombra su cui in molti stanno studiando: «è comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente».
No pascolo, eolico sì
Un passaggio quello “sull’ambiente” che apre ad una giurisprudenza inquietante «di protezione integrata e complessiva». Il rischio è che sia vietato il pascolo a greggi e mandrie, mentre, in quei terreni arsi dalle fiamme, per il bene “supremo” di un fantomatico interesse pubblico ambientale, possano “pascolare” gli affari dei signori del vento e del sole. Oltre al danno la beffa.