Dopo un’ora e mezza di testimonianza drammatica, con la fatica di ripercorrere oltre trent’anni di paura e dolore, l’unico sopravvissuto della strage di Sinnai, Luigi Pinna, ammette quel che la Procura generale di Cagliari e l’avvocato di Beniamino Zuncheddu, il pastore all’ergastolo per l’eccidio, sospettavano: la foto di Zuncheddu quale possibile responsabile fu mostrata al sopravvissuto prima che questi incontrasse ufficialmente il pm. «È così», ha detto Pinna, «me la fecero vedere prima. Chi? Il poliziotto Mario Uda».

Cioè l’uomo che aveva svolto le indagini. Proprio il sospetto all’origine della richiesta di revisione del processo ora in corso a Roma, un comportamento che secondo l’ex pg di Cagliari Francesca Nanni rendeva “falsa” la prova regina all’origine della condanna di Zuncheddu.

Dopo venti minuti di pausa è ripresa l’udienza e Pinna ha ammesso un altro dettaglio fondamentale: alla domanda del pg sul fatto che l’assassino avesse o no la calza sul volto, elemento di capitale importanza (il superstite subito dopo il delitto aveva detto di sì, poi dopo 40 giorni e aveva detto di no giustificando la prima versione con «la paura che venissero a cercarmi»), ha risposto con chiarezza: «La aveva». Quindi non poteva riconoscere il killer.

Poi è cominciata la testimonianza di Daniela Fadda, moglie di Pinna, che ha ripercorso gli anni delle indagini e ha sottolineato come Libero Fadda ritenesse «ingiusto che in carcere ci fosse solo Zuncheddu e non anche altre persone» ritenute coinvolte nell’eccidio. Lo stesso Giuseppe Fadda, figlio di Gesuino (il proprietario di Cuile is Coccus), mentre si compiva la strage disse al pastore Ignazio Pusceddu «prendi un fucile che stanno sparando a tuo padre». Quindi c’erano più persone.

Battistino Mulas? «Con mia sorella Maria si parlavano. Io non c’ero, avevo la famiglia per conto mio. Lui era un compagno di merenda, era sempre in gruppo con gli Zuncheddu. L’incontro in montagna con Uda e mia sorella Maria subito dopo la strage? Uda si presentò come un nostro parente di Busachi. Battistino disse di aver saputo che Beniamino aveva fatto la commissione e parlò anche delle vacche che gli erano state promesse in cambio, 12 o 14. Mulas non sapeva di parlare con un poliziotto, si sono conosciuti dopo. Neanche noi lo conoscevamo. Abitava vicino a casa ma non ci conoscevamo». Sulla foto di Zuncheddu mostrata al marito prima dell’incontro col pm, la donna ha detto che «Uda gli aveva fatto vedere le foto, Luigi non conosceva Beniamino». 

In una telefonata con Uda, alla riapertura delle indagini e dopo le intercettazioni eseguite dai carabinieri di Cagliari, la donna disse all’investigatore che il marito sarebbe «rimasto sempre dalla stessa parte». Ma a quale parte si riferisse, posto che Pinna era la vittima, la donna non ha saputo rispondere nonostante i solleciti del pg e i chiari richiami del presidente della Corte, che ha ricordato a Fadda l’obbligo di dire la verità e le possibili conseguenze.

«Mio marito non mi dice tutto… Suoi dubbi su Zuncheddu? A me non l’ha mai detto. Con Uda ce l’hanno perché ha fatto le indagini. È una colpa? Volevano far dire a mio marito che non era stato Beniamino, ma mio marito mi ha sempre detto di averlo riconosciuto, perché non aveva calzamaglia». Dichiarazione però smentita dallo stesso Pinna nella testimonianza di qualche ora prima. «Ma a me ha sempre detto così».

Sui collegamenti col sequestro di Gianni Murgia la donna parla di una semplice «coincidenza», il delitto a suo dire era legato agli «sconfinamenti del bestiame». Tanto che poi è arrivato qualcun altro a occupare l’ovile, «un’altra persona di Burcei che c’è ancora. Sono terreni sotto gli usi civici», di proprietà pubblica e assegnati agli allevatori: «Erano dei nostri antenati. Ci sono i padroni. Ma gli Zuncheddu non sono padroni. Da un paio di anni a questa parte è entrato Luigi Zuncheddu», che ora sta in quell’ovile che fu «costruito da mio padre Gesuino». Tutti i maschi di famiglia sono stati uccisi. «Mio marito mentre rientrava dal lavoro sulla Statale 554 all’incrocio per Maracalagonis si è trovato un tizio dietro che gli fece un gestaccio: era Franco Mulas. L’uomo delle limature dei fucili».

La donna parla anche di una lettera anonima inviata sulla strage, una missiva «trovata in Tribunale, nella quale si accusavano i Mulas. Ma io non l’ho mai vista». Il marito sull’assassino le disse che «una sola persona entrò nella stanza dell’ovile. Ricordo che salimmo in montagna io, mia madre e mia sorella. Le capre erano nel recinto e ci chiedemmo cosa fosse accaduto. Mio fratello a volte neanche rientrava, e comunque si doveva mungere prima di riportarle dentro. Io e mia sorella siamo scese dall’auto, poi mia madre e la persona che ci accompagnò trovarono mio padre morto. In cucina c’era mio fratello buttato per terra. Sentimmo le urla di mia madre, che gridava il nome di mio padre. Poi sentimmo Luigi, aveva paura che tornassero per ucciderlo. Era su un lettino, Ignazio era dietro. Mio marito mi disse solo di non guardare. Poi lo ricoverarono. Lui disse che non aveva riconosciuto nessuno all’inizio. Abbiamo passato tante notti in bianco. Molte cose le teneva per sé, per non farmi preoccupare. Disse che il killer aveva un giubbotto chiaro, delle polacchine fatte a incrocio, un naso particolare, con i guanti. Penso che Luigi e Uda si siano incontrati, ma mio marito non ha mai avuto dubbi sull’identità dell’assassino. A me non l’ha mai detto».

Ultimo a testimoniare, il poliziotto Mario Uda, che aveva avuto un ruolo fondamentale nelle indagini della strage, nega di aver mostrato al superstite la foto di Zuncheddu prima del riconoscimento ufficiale («non gli ho mostrato alcuna immagine») e conferma questa versione anche quando il pg capitolino gli legge le trascrizioni delle intercettazioni dei dialoghi tra Pinna e la moglie: quelle in cui il sopravvissuto sembra invece confermare quanto poi da lui stesso ammesso oggi a inizio testimonianza davanti alla Corte d’appello di Roma. Cioè che in realtà la foto gli era stata fatta davvero vedere da Uda quando non si doveva e poteva. Poi il teste indica chi aveva fatto per primo il nome di Zuncheddu (un ex pastore dei Fadda, tale Paolo Melis) e ricorda i dubbi sulle versioni altalenanti di Pinna sul riconoscimento del killer: «Aveva visto le suole lisce delle scarpe, i capelli folti, il giubbotto bianco. Dal nostro punto di vista poteva dire molto di più». 

© Riproduzione riservata