I sardi continuano a partire, a lasciare la loro terra: lo dicono i dati del Rapporto Italiani nel Mondo, presentato oggi a Roma dalla Fondazione Migrantes.

Quest’anno l’organizzazione ha deciso di dedicare un capitolo per ogni regione italiana, per la Sardegna è stata chiamata a occuparsene Marisa Fois, 36enne di Busachi che da due anni e mezzo lavora all’Università di Ginevra.

Tre i concetti chiave al centro della ricerca: identità, emigrazione e spopolamento.

“Sono partita dal testo di Nereide Rudas sull’emigrazione sarda – spiega Marisa – che metteva a confronto i flussi migratori, il picco tra gli anni Sessanta e Settanta, e a oltre 40 anni da quei dati la loro rilettura fa riflettere”.

Che senso dà a quelle tre parole?

“L’identità, o il sentirsi parte di una comunità, quella sarda appunto, è un sentimento diffuso, a volte profondamente sentito, altre meno, ma comunque presente sia in chi decide di partire che in chi sceglie di vivere in Sardegna. Lo spopolamento colpisce una regione caratterizzata da una bassa densità demografica e da un alto indice di vecchiaia, con conseguenze davvero preoccupanti e una possibile estinzione demografica nei prossimi decenni di alcuni comuni. L’emigrazione e lo spopolamento sono strettamente legati. Le conseguenze ai problemi demografici sono e possono essere attenuate dalla presenza straniera, che, oltre a una crescita culturale, può contribuire a una crescita in termini numerici”.

Come è strutturato il suo contributo al Rapporto Italiani nel Mondo?

“Come una sorta di ‘carta d’identità migratoria’ della Sardegna, attraverso una ricostruzione storica del flusso migratorio e della sua evoluzione dalla fine dell’Ottocento fino ad oggi, con cifre e dati. È certamente un’emigrazione che cambia, che recentemente ha assunto la forma del ‘vai e vieni’, del ‘pendolarismo di lungo raggio’, di nuovi tipi di mobilità. Viene poi posto l’accento sulla rete identitaria e sull’associazionismo. Nella conclusione sono state scelte quattro storie di vita. Si tratta di Grazia Deledda, Eva Mameli Calvino, Antonio Gramsci e Antonino Melis, detto Tonino, per il loro impegno e contributo, in diversi ambiti, anche oltre i confini isolani”.

Qualcosa è cambiato col tempo?

“Sì, è cambiato il modo di rapportarsi con la terra che si lascia, c’è un modo diverso di vivere la realtà sarda: si parte, ma grazie ai mezzi di comunicazione di massa si riescono a tenere contatti frequenti. Non si è in Sardegna fisicamente ma si partecipa alla vita sociale a distanza”.

Cosa è rimasto invariato?

“Il fatto che sia ancora una regione sottopopolata, e che, in base ai dati del 2015, è tra le 65 regioni più povere dell’Unione europea”.

Quali sono i paesi più colpiti dall’emigrazione?

“La provincia oristanese, per esempio: sono tantissimi i Comuni che subiscono il fenomeno dello spopolamento”.

Cervelli in fuga?

“Non solo: anche braccia. Il fenomeno è trasversale, riguarda entrambi i settori”.

È vero che non si ha più la nota “valigia di cartone”?

“No, ora la valigia è più maneggevole e resistente. Ma forse le speranze e le aspettative di chi parte sono sempre le stesse”.

Un dato significativo che ha inserito nel suo studio?

“L’aumento di quasi il 20% di partenze nella provincia di Olbia-Tempio, seguita da quella di Cagliari con un aumento corrispondente a quasi il 17%”.

Nell’ultimo anno in quanto sono partiti?

“2.851 sono i residenti in meno”.

Quanti anni hanno i nuovi emigrati?

“Tra i 18 e i 34, quindi la fascia più attiva dal punto di vista lavorativo, quella che contribuisce a costruire il futuro, insomma”.

Vanno via per motivi lavorativi e basta?

“Non solo, ma il lavoro è sicuramente il dato più importante. Io, per esempio, sono partita per cercare uno sbocco professionale che a Cagliari, dopo due anni di contratto nell’ambito delle Scienze sociali all’Università, non avevo”.

Chi resta in Sardegna?

“Per fortuna restano in molti, e per fortuna ci sono gli stranieri, quelli residenti e regolari: grazie a loro il fenomeno dello spopolamento si riduce. Senza arrivi ma solo partenze il saldo sarebbe ancora più preoccupante”.

Cosa può consigliare a chi vuole partire? E a chi vuole restare?

“Sono scelte dettate da diversi fattori, economici, sentimentali, connessi allo studio o alla formazione, si tratta di scelte a volte obbligate, a volte temporanee, altre definitive. In entrambi i casi, a chi parte e a chi resta, la prima cosa che mi sentirei di consigliare è l’apertura verso ciò che è nuovo e ‘diverso’, verso le altre culture. Sia che ci si trovi in un nuovo paese sia nel paese in cui si è nati”.

Ora di cosa si occupa?

“Seguo un progetto sui rapporti tra Svizzera e Algeria, il NordAfrica è già stato oggetto anche della mia tesi di laurea”.

Tornerà in Sardegna?

“Lo spero, mi piacerebbe”.

Sabrina Schiesaro
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