Sulla vicenda riproponiamo l’editoriale del direttore Emanuele Dessì, pubblicato su L’Unione Sarda il 22 marzo.

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Con le cavallette, nel centro Sardegna sono tornate le cicale. Un flagello tira l’altro. In una delle stagioni più siccitose della storia - e oggi “festeggiamo” la Giornata mondiale dell’acqua - qualcuno si permette il lusso di buttare in mare, dalla diga sul Tirso, due metri cubi d’acqua al secondo (duemila litri), 120 al minuto, 7.200 all’ora, 172.800 al giorno, un milione 200 mila metri cubi alla settimana. Giusto per capire, lo spreco corrisponde più o meno ai consumi in un mese della città di Cagliari. Chi gestisce il rubinetto del Tirso? Enas, l’Ente acque della Sardegna. Chi controlla Enas? La Regione. 

Il 23 gennaio 1997 il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro inaugurò a Busachi la diga Cantoniera (suona più elegante con il secondo nome, Eleonora d’Arborea), un muraglione di quasi cento metri tirato su per imbrigliare 800 milioni di metri cubi d’acqua. In un clima di mutismo e rassegnazione (davanti a un perverso meccanismo di collaudi imposto da una legge dello Stato fuori dal tempo), la grande diga ha un volume di invaso “autorizzato” di 419 milioni. Grazie alle piogge di inizio marzo, che hanno ingrossato il Tirso e i suoi affluenti, la diga ha raggiunto la quota massima una quindicina di giorni fa. E così, da allora, ogni litro in più che il cielo ci ha regalato finisce a valle e poi dritto verso la foce, a Cabras. Con buona pace dei sensi di colpa.

Tanto più se si considera che, grazie a una felice intuizione, in passato venne realizzato un collegamento tra i sistemi idrici del Tirso e del Flumendosa (oggi in sofferenza). Peccato che l’acqua non ci finisca per caduta o per un gioco di pendenze. Serve una stazione di pompaggio, un po’ come l’autoclave di casa. A denunciare a gran voce gli sprechi sono stati Anbi Sardegna (l’Associazione che riunisce i Consorzi di bonifica) e Coldiretti. Perché - chiedono - non si accende la stazione di sollevamento? Perché non si mettono in conto, con i costi dell’energia, anche le ricadute sociali ed economiche degli sprechi? Molti sardi convivono già con le restrizioni, da più parti (bacino del Flumendosa incluso) non c’è acqua per i campi dove, giusto per ricordalo, si produce cibo (il nostro cibo) e non gassosa. Chi si assume la responsabilità, anche morale, di uno spreco che sa di vergogna? Enas ha deciso (evviva!) di metterci la faccia con un comunicato stampa. La sintesi: noi non abbiamo i soldi. E, ancora, noi agiamo (letteralmente) «in forza di disposizioni di legge, spesso rubricate inopinatamente a “cavilli burocratici”, avendo cura di attuare le disposizioni date dall’autorità di bacino, che agisce a tutela dell’intera collettività e secondo le regole date dalla norma, a lettura della quale è necessario soddisfare prioritariamente il fabbisogno ad uso domestico, ed a seguire quelli industriali ed irrigui». Grazie, Enas. Abbiamo sentito quello che volevamo sentire: è un sistema che si avvita. Sono tutti figli della stessa madre, la Regione. L’Ente acque della Sardegna quantifica in 5,5 milioni - in un anno - i costi della bolletta per l’autoclave del Tirso. Nulla dice, Enas (in fondo non è compito suo) su quanto costino alla collettività quei due metri cubi al secondo gettati via. Ma il messaggio è forte e chiaro: sia la politica a metterci i soldi. Inutile piangere sull’acqua versata e sugli errori, gravi, inaccettabili, sinora commessi da chi ci amministra. La stazione di pompaggio del Tirso è pronta all’uso. Magari andrà messa in funzione per un mese (500 mila euro?), forse meno, dipenderà dalla generosità del buon Dio in questa primavera che, già all’inizio, sa di estate. C’è chi può decidere che quell’autoclave vada messa in funzione subito. Pensiamoci: durante la lettura di questa riflessione sono volati via seimila litri d’acqua. Sì, è una vergogna.

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