I colori del palazzo sono anonimi, come quell’edificio a quattro piani innalzato nel periodo del boom del mattone alla periferia di quella che un tempo era la Las Vegas del Campidano. Il numero 78 è quello di Corso Asia, nel crocevia tra Assemini e Macchiareddu, tra l’enclave industriale e la città delle pene, il carcere di Uta. È tenue la luce del pomeriggio inoltrato in questo corridoio aereo che almeno ogni mezz’ora perfora i timpani di quei poveri malcapitati che vivono in asse con la pista 14 dell’aeroporto di Elmas.

Campanelli muti

I campanelli ci sono, alcuni, però, sono muti da sempre. Le ultime impronte digitali impresse sul pulsante sono quelle del cronista che ha osato irrompere nella calma piatta di quell’appartamento dove covano i segreti di uno dei più rilevanti sequestri giudiziari contro società indagate per collusioni con la camorra mai compiuti in Sardegna. Il nome della società è la storia anagrafico-fiscale di una compagine il cui pedigree non è roba da catechismo. C’è il nome di nascita, Entei S.p.A., c’è l’evoluzione societaria fatta a sintesi: “Etica S.p.A.”. Dietro il richiamo etico-aristotelico al bene comune, però, non c’è niente di filosofico. È la traduzione anagrammata di “Environmental Technologies International S.p.A (in sigla appunto Etica S.p.A.). Un nome, tutto un programma: addirittura Tecnologie ambientali internazionali.

Incontro ravvicinato

Quando tenti la carta dell’incontro ravvicinato ti aspetti che dopo la prima pressione sul campanello ti possano rispondere con uno slang universale, invece niente. Nemmeno l’educazione di un “buongiorno, scusate siamo occupati”. Silenzio assoluto dietro quel cancelletto che protegge una sede fiscale deserta da tempo. Del resto, da fare, in questi giorni, i signori di “Etica” ne hanno per davvero, dopo che l’ “anima” nera di camorristi e malavita organizzata, quel terrore di Stato chiamato Nicola Gratteri, Procuratore generale di Napoli, ha chiesto e ottenuto il sequestro di tutti i beni finanziari ed economici di questa società con la residenza fiscale a ridosso del rio Sa Nuscedda, foce verso Santa Gilla, in terra di Assemini.

55 milioni sequestrati

Non un sequestro come tanti altri, ma la bellezza di 55 milioni di euro. Una valanga di denaro finita preventivamente nella cassaforte dello Stato, con tanto di commissariamento, sino al compimento dell’iter giudiziario. La misura di prevenzione vergata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 16 gennaio scorso è un sorta di casellario giudiziario di sessanta pagine, con altrettanti ipotetici capi d’imputazione e reati a processo già da tempo. L’accusa è circostanziata in una miriade di fatti contestati e richiamati. Il dispositivo dei Giudici è esplicito: «si dispone il sequestro di prevenzione in danno di D’Amico Antonio e del suo nucleo familiare di tutte le quote societarie e compendi aziendali nella loro disponibilità». In ballo ci sono relazioni dirette e indirette, con il clan più potente della Campania, quello dei Casalesi. Nel provvedimento di sequestro il richiamo a nomi “eccellenti” dei boss del clan più influenti è ricorrente, a partire dai numeri uno: Michele e Pasquale Zagaria, tutte e due ospiti del 41 bis di Sassari. Il contesto è esplicito: un potenziale criminale incuneato tra colletti bianchi e manovalanza capace di condizionare con uno sguardo appalti e lavori in ogni anfratto pubblico privato in cui la camorra si è insinuata in Campania, ma non solo. La storia, come spesso capita in questi ambienti, è tutta rifiuti e bonifiche, discariche e fanghi fognari che di punto in bianco diventano oro per le casse collaterali e dirette della malavita organizzata, stando a quanto racconta il provvedimento di sequestro. L’intreccio societario è complesso, ma il cuore fiscale della società è proprio in Corso Asia ad Assemini. Il colpo grosso la Direzione Investigativa Antimafia lo mette a segno proprio nell’enclave sarda di questa compagine, che negli anni ha decentrato poteri, denari e beni a favore dei suoi familiari diretti. Per il sequestro ai danni di “Etica”, la società per azioni con sede nella città metropolitana di Cagliari, invece, i Giudici fanno direttamente riferimento a lui, il capostipite, Antonio D’Amico: «sequestro dell’intero capitale sociale e complesso di beni strumentali e di ogni altro bene destinato all’attività di impresa registrati nelle apposite scritture contabili obbligatorie costituenti il compendio aziendale, nonché dei depositi e dei conti correnti bancari della Environmental Technologies International, sede legale in Assemini corso Asia 78, avente come oggetto sociale “costruzione di opere pubbliche per il trasporto di fluidi”». I quesiti sono un passaggio obbligato: per quale motivo una società di questo rilievo ha la sede legale nella periferia estrema di Assemini, a pochi chilometri dal carcere di Uta, già colmo di camorristi in trasferta? C’è una correlazione? O altrimenti per quale ragione Antonio D’Amico ha dislocato gli affari legali di Etica proprio in questo anonimo enclave sardo? A tutto questo non c’è risposta negli atti giudiziari, ma è evidente che molte carte vengono tenute ancora sottochiave. Un dato, però, emerge dal portafoglio clienti di questa società sottoposta a sequestro: nel sito aziendale i nomi sono quelli che non ti aspetteresti mai.

Referenze altisonanti

Nel capitolo “Reference” scrivono: le nostre referenze sono la testimonianza più evidente della nostra esperienza, competenza e serietà. E poi giù una caterva di nomi altisonanti, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con tanto di vessillo di Palazzo Chigi, alla sarda Abbanoa, dall’acquedotto Pugliese, quello che spediva in Sardegna i fanghi fognari di tutta la Puglia, al confinante acquedotto Lucano, dal Comune di Caltanissetta a quello di Perugia, dalla Regione Campania alla Regione Calabria. Non è dato sapere a che titolo in questo parterre compaia Abbanoa e la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma è certo un capitolo da chiarire, senza perdere troppo tempo.

Sardegna «vulnerabile»

Questa vicenda è l’ultima in ordine di tempo che apre inquietanti scenari su potenziali infiltrazioni scabrose in terra sarda. A ribaltare del tutto lo scenario del passato, quello di una Sardegna inespugnabile, è proprio l’ultima relazione semestrale dell’Antimafia. Il passaggio è esplicito come non mai: «In Sardegna, nel tempo, sono state riscontrate proiezioni delle cosiddette mafie tradizionali dedite ad investimenti finalizzati al riciclaggio e al reinvestimento dei proventi illecitamente accumulati in altre Regioni. Tale assunto risulta confermato anche dal Procuratore Generale della Repubblica di Cagliari nel corso del suo intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023, secondo cui la Regione Sardegna “appare vulnerabile alla penetrazione di organizzazioni mafiose, in particolare, campane e calabresi. Queste ultime, peraltro, appaiono fortemente interessate al riciclaggio di denaro di illecita provenienza e ad attività di reimpiego di capitali illeciti, fenomeni facilitati dalle grandi occasioni di investimento che la Sardegna offre nel settore turistico e commerciale». Come dire: spedire nella “Caienna” sarda altri 100 capimafia, nel carcere di Uta, sarebbe un colpo letale per l’Isola, l'ennesimo.

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