Disarmata come sei anni fa, fragile e impaurita sotto ogni acquazzone che fa tremare migliaia di residenti nei quartieri a rischio, le “vie del fango” che qualche giorno fa sono state attraversate dal corteo della memoria, con le fiaccole in mano per ricordare le sei vittime dell’alluvione del 2013 nel centro abitato di Olbia, tredici in Gallura, diciannove nell’Isola. Sei anni di lungaggini burocratiche e scontri istituzionali, infiniti dibattiti di ingegneria idraulica e polemiche sulla migliore soluzione per proteggere Olbia non sono bastati neppure per approvare definitivamente il progetto (in fase di valutazione di impatto ambientale) e avviare le opere malgrado la disponibilità dei finanziamenti

Il ponte ferroviario in via D'Annunzio (foto Satta L'Unione Sarda)
Il ponte ferroviario in via D'Annunzio (foto Satta L'Unione Sarda)
Il ponte ferroviario in via D'Annunzio (foto Satta L'Unione Sarda)

VERSO IL COMMISSARIO - L’argomento è tornato di attualità proprio nel giorno dell’anniversario dell’alluvione quando in Consiglio comunale diversi interventi hanno ricordato i ritardi nel piano. “Per noi è fondamentale mettere in sicurezza la città – ha detto l’assessore regionale all’Urbanistica e agli Enti locali Quirico Sanna – e questo verrà fatto con gli studi necessari, non ci interessa il nome del piano ma che sia efficace e che non faccia correre rischi alla popolazione di Olbia”. La Regione sta per nominare un commissario che si occupi del piano e sarà probabilmente una figura tecnica. Una scelta politicamente sensibile. Nel 2016 l’allora assessore regionale ai Lavori Pubblici Paolo Maninchedda revocò la delega al Comune di Olbia, di fatto commissariandolo per le opere anti alluvione. Pochi mesi prima lo scontro sul piano era stato il cuore della campagna elettorale vinta da Settimo Nizzi, contrario al piano Mancini, approvato dall’amministrazione che l’aveva preceduto e dal Distretto idrografico della Sardegna. Da allora la palla è rimasta nelle mani della Regione anche con la nuova Giunta, dello stesso colore politico di quello che governa la città gallurese.

Il ponte di Isticcadeddu nel 2015 (foto Satta L'Unione Sarda)
Il ponte di Isticcadeddu nel 2015 (foto Satta L'Unione Sarda)
Il ponte di Isticcadeddu nel 2015 (foto Satta L'Unione Sarda)

IL DIBATTITO - Allargamento dei canali e vasche di laminazione (opere idrauliche che hanno il compito di contenere l’acqua, rallentandone il flusso), come previsto nel piano della Regione – peraltro l’unico finora approvato e con iter avviato - redatto sulla base dello studio del professor Marco Mancini, docente al Politecnico di Milano? O un canale scolmatore che porti l’acqua fuori dalla città come prevede il piano alternativo redatto dalla Technital e sposato dall’amministrazione guidata da Settimo Nizzi? “Non si discute l’efficacia idraulica delle due soluzioni, entrambe valide”, spiega Antonio Appeddu, agronomo e tra i protagonisti delle critiche al piano Mancini – ma l’impatto urbanistico. Nelle città attraversate da corsi d’acqua si sono cercate soluzioni che non le snaturassero, a Firenze non hanno abbattuto il ponte Vecchio”. Al contrario, il professor Mancini ritiene più compatibile con l’assetto naturale della città la sua scelta. “Tale soluzione – aveva dichiarato in un’intervista a L’Unione Sarda - si basa sul concetto che è sempre meglio ripristinare le vecchie vie d'acqua, rispettando le pendenze naturali della piana, piuttosto che crearne artificialmente delle nuove. Un sistema più vicino a quello naturale risulta più semplice nel suo funzionamento e quindi più affidabile”. Più che una soluzione idraulica, una filosofia. Il piano Mancini lascia l’acqua in città mirando a rendendola inoffensiva attraverso le opere idrauliche, il piano Technital porta l’acqua fuori.

La rampa dello stadio Nespoli, oggi abbattuta (Foto Satta L'Unione Sarda)
La rampa dello stadio Nespoli, oggi abbattuta (Foto Satta L'Unione Sarda)
La rampa dello stadio Nespoli, oggi abbattuta (Foto Satta L'Unione Sarda)

IL PIANO DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO: SOLUZIONE MANCINI - Il piano, diviso in quattro lotti, prevede prima di tutto l’abbattimento delle cosiddette opere incongrue, i ponti tappo sui canali, e poi l’allargamento della sezione del rio Gaddhuresu e del rio Seligheddu e la realizzazione di tre vasche di laminazione. Redatto dalla struttura regionale sulla base dello studio Mancini (e per questo definito piano Mancini) che era stato commissionato all’indomani dall’alluvione dalla giunta guidata da Gianni Giovannelli e approvato dalla stessa maggioranza, ha ottenuto i finanziamenti (120 milioni) nel programma Italia Sicura del governo Renzi, formalizzati con l’accordo di programma del primo governo Conte. Attualmente è in fase di Valutazione di impatto ambientale.

L’amministrazione comunale e due comitati di cittadini lo contestano per l’eccessivo impatto sulla città, sia per l’allargamento dei canali che per la presenza di vasche di laminazione – vissute con timore – a ridosso del centro abitato. Inoltre prevede molti espropri.

L'esondazione del Seligheddu nel 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)
L'esondazione del Seligheddu nel 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)
L'esondazione del Seligheddu nel 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)

IL PIANO ALTERNATIVO - L’amministrazione guidata da Settimo Nizzi si è subito messa al lavoro per mettere in campo il progetto alternativo. Il Consiglio comunale ha così approvato lo scorso anno il piano della Technital che intercetta l’acqua a monte della città e la dirotta in un canale scolmatore lungo 11 chilometri in galleria che sfocerebbe poi alle foci del Padrongianus. Il progetto è stato presentato come osservazione nell’ambito dell’iter del piano Mancini, con l’obiettivo di sostituirlo, ed è all’esame dello Sva. In campo c’è poi una terza proposta, mai passata per vie istituzionali, e redatta dallo studio di Equipe che prevede solo il canale scolmatore, ma a cielo aperto, e nessuna vasca di laminazione. Le obiezioni principali a questa soluzione sono due: il rischio verrebbe abbattuto solo a lavori ultimati e non per gradi come nel primo caso e l’iter burocratico dovrebbe ripartire da capo col rischio di perdere i finanziamenti (che non è affatto certo possano essere trasferiti da un piano all’altro) destinati a progetti già cantierabili.

L'alluvione del 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)
L'alluvione del 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)
L'alluvione del 2013 (Foto Satta L'Unione Sarda)

IL CASO PISA - Numerosi sono gli esempi di canali scolmatori nelle città italiane, come lo scolmatore dell’Adige che protegge Verona (l’ultima volta lo scorso anno) e lo scolmatore dell’Arno che proprio nei giorni scorsi ha salvato Pisa dalla piena. Lo scolmatore d’Arno è lungo 28 chilometri, parte da Pontedera e sfocia nel Tirreno, a Calambrone. Nell’evento del 16 e 17 novembre ha permesso lo smaltimento di una portata di 550 metri cubi al secondo. Il sistema toscano prevede anche casse di laminazione nel territorio di Firenze.

LO STATO ATTUALE - Lo studio Mancini individuava una serie di opere considerate incongrue, ponti tappo, sia stradali che ferroviari, che ostacolano il deflusso dell’acqua nei canali. In sei anni ne sono stati abbattuti due: il ponte di Isticcadeddu, abbattuto in emergenza nell’alluvione del 2015 e ricostruito e la rampa sul Siligheddu davanti allo stadio Nespoli. Ne restano molti altri, dal sottopasso ferroviario di via Amba Alagi ai ponti di via D’Annunzio. L’amministrazione ha messo in campo anche interventi “minori” rispetto al piano complessivo come alcuni progetti di riordino delle reti idriche e un piano organico di pulizia e manutenzione dei canali. Ma Olbia resta una città ad altissimo rischio e ogni acquazzone continua a fare paura.
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