Diciotto novembre 2013. Morgana aveva due anni ed era in auto con la mamma Patrizia Corona. Rientravano dall'asilo quando la piena del rio Siligheddu, nel quartiere Bandinu, ad Olbia, le ha inghiottite risparmiando, ma solo fisicamente, un padre travolto dal dolore e dall'impotenza.

Oggi c'è una recinzione, che sette anni fa non c'era, a proteggere il canale. Il luogo in cui è morta la vittima più piccola del ciclone Cleopatra è diventato il simbolo del dolore di una città, meta finale della fiaccolata silenziosa che ogni anno attraversa la via Crucis delle vie che furono cancellate dal fango. Non quest'anno: l'emergenza Covid ha fatto annullare anche il pellegrinaggio della memoria e restano solo fiori, pensieri e pupazzi sulla rete di via Belgio.

Fiaccolata in memoria delle vittime (Archivio L'Unione Sarda)
Fiaccolata in memoria delle vittime (Archivio L'Unione Sarda)
Fiaccolata in memoria delle vittime (Archivio L'Unione Sarda)
Il cantiere di Monte Pino oggi (Archivio L'Unione Sarda)
Il cantiere di Monte Pino oggi (Archivio L'Unione Sarda)
Il cantiere di Monte Pino oggi (Archivio L'Unione Sarda)
La strada di Monte Pino dopo il crollo (Archivio L'Unione Sarda)
La strada di Monte Pino dopo il crollo (Archivio L'Unione Sarda)
La strada di Monte Pino dopo il crollo (Archivio L'Unione Sarda)
Il canale di via Belgio dove morirono mamma e figlia (Archivio L'Unione Sarda)
Il canale di via Belgio dove morirono mamma e figlia (Archivio L'Unione Sarda)
Il canale di via Belgio dove morirono mamma e figlia (Archivio L'Unione Sarda)
Francesco ed Enrico Mazzoccu (Archivio L'Unione Sarda)
Francesco ed Enrico Mazzoccu (Archivio L'Unione Sarda)
Francesco ed Enrico Mazzoccu (Archivio L'Unione Sarda)
Morgana Giagoni e Patrizia Corona (Archivio L'Unione sarda)
Morgana Giagoni e Patrizia Corona (Archivio L'Unione sarda)
Morgana Giagoni e Patrizia Corona (Archivio L'Unione sarda)

Nello stesso quartiere, in via Romania, c'era Maria Massa, 88 anni, travolta mentre cercava di scappare e, sull'altra sponda del Siligheddu, in via Lazio, Anna Ragnedda, 83 anni, invalida, morta da sola nel suo letto mentre tutto il quartiere Baratta finiva sepolto dall'acqua e dal fango. E poco fuori città, a Raica, un altro bambino, Enrico, tre anni, era col suo papà Francesco Mazzoccu che ha cercato fino all'ultimo di tenerlo stretto a sé, nel giubbotto trasformato in marsupio, prima che l'onda di piena lo portasse via e c'era chi inutilmente chiedeva soccorso. Ma i soccorsi non c'erano: la città quel giorno era completamente disarmata. Donne anziane e fragili, bambini con i genitori: sono le sei vittime dell'alluvione nel centro abitato di Olbia che in quel 18 novembre del 2013 fu devastato dalla furia dell'acqua.

Bruno Fiore, la moglie Sebastiana Brundu e la consuocera Maria Loriga, invece ad Olbia, dove erano attesi per una cena, non sono mai arrivati. Nella strada che percorrevano sotto la pioggia battente, la famigerata provinciale 38, si è aperto un cratere nel tratto di Monte Pino che ha ingoiato l'auto. Quella frattura che separa la Gallura interna dalla città, che ha allontanato Tempio e Olbia, è ancora là, dopo sette anni, nel cantiere dello scandalo finito ancora una volta sotto sequestro.

Ad Arzachena, nelle stesse ore, faceva un disastro il rio San Giovanni e moriva un'intera famiglia di origini brasiliane, padre, madre e due figli ragazzi, 16 e 20 anni. Isael Passoni, Cleide Mara Rodriguez, Weriston Isael Passoni e Leine Kellen Passoni restano intrappolati nello scantinato della villetta in cui vivevano, diventata una trappola mortale.

Le vittime in tutta la Sardegna saranno diciannove ma Olbia, con nove morti, ottomila case danneggiate e seicento sfollati, resta l'epicentro di un disastro che ancora oggi fa paura. Una ferita impossibile da rimarginare nel cuore di una città ancora indifesa, che trema ad ogni pioggia un po' più forte.
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