Continua ad aumentare il consumo di suolo in Italia e in Sardegna. Lo evidenziano i dati dell’Ispra, che ha presentato oggi il rapporto "Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici".

Nel 2024 in Italia sono stati coperti da nuove superfici artificiali quasi 84 chilometri quadrati, con un incremento del 16% rispetto all'anno precedente. Con oltre 78 chilometri quadrati di consumo di suolo netto si tratta del valore più alto dell'ultimo decennio, equivalente a quasi 12mila campi da calcio. Ogni ora si perde una porzione di suolo pari a circa 10mila metri quadrati, come se dal mosaico del territorio venisse staccato un tassello dopo l'altro. Infrastrutture, edifici e altre coperture artificiali occupano 21.575 Km quadri di territorio italiano, il 7,17%. La media europea è del 4,4%.

Nel 2024 si è consumato suolo principalmente per cantieri e strade (49,15 km quadrati), pannelli fotovoltaici (17,02), nuovi edifici (6,23), strade pavimentate e altre infrastrutture di trasporto (1,14).

La Sardegna, anche se non risulta tra le regioni con il maggior consumo di suolo, è quella in cui è cresciuto maggiormente nell’ultimo anno (+0,83%). Un dato dovuto anche al fiorire di pannelli fotovoltaici, quadruplicati nell’ultimo anno (da 423 ettari a 1700): la Sardegna, con i suoi 293 ettari, è una delle Regioni che destina la maggior parte del proprio territorio ai pannelli. Fa peggio solo il Lazio con i suoi 443 ettari.

In dettaglio, al 2024 in 15 regioni risulta ormai consumato più del 5% di territorio, con massimi in Lombardia (12,22%), Veneto (11,86%) e Campania (10,61%). La Sardegna (3,39% di suolo consumato), ha uno dei dati più bassi ma registra la crescita percentuale maggiore dell'ultimo anno (+0,83%), davanti ad Abruzzo (+0,59%), Lazio (+0,56%) e Puglia (+0,52%), mentre l'Emilia-Romagna si ferma al +0,50%. Anche La Valle d'Aosta, che resta la regione con il consumo inferiore, aggiunge comunque più di 10 ettari di nuovo consumo. La Liguria (28 ettari) e il Molise (49 ettari) sono le uniche regioni, insieme alla Valle d'Aosta, con un consumo al di sotto di 50 ettari.

Confermata anche la tendenza al rialzo della superficie di suolo consumato nelle aree a rischio dissesto dove il fenomeno, dopo il rallentamento registrato nel 2023, torna a correre: +1.303 ettari nelle zone a pericolosità idraulica media e +600 ettari nelle zone a pericolosità da frana.

Prosegue l’impermeabilizzazione lungo le fasce costiere, dove la percentuale di suolo consumato nei primi 300 metri dal mare è più del triplo del resto del territorio nazionale (22,9%), nelle pianure (11,4%), nei fondi valle e nelle aree a vocazione agricola vicino a quelle urbane.

In crescita il consumo di suolo nelle aree protette nelle quali si ricoprono altri 81 ettari dei quali oltre il 73% riguarda i Parchi naturali nazionali (28,7 ettari) e regionali (30,8 ettari). Nelle aree Natura 2000, infine, le nuove superfici artificiali ammontano a 192,6 ettari (+14% rispetto allo scorso anno). E diminuisce la disponibilità di verde in città: il 2024 registra una perdita ulteriore di oltre 3.750 ettari di aree naturali.

Poi c’è il ripristino, ovvero quelle aree in cui il suolo da una condizione artificializzata torna ad una naturalizzata, spesso dovuta alla rimozione delle aree di cantiere. Questo processo, «lento a prendere piede nel nostro paese, nel 2024 interessa una superficie complessiva di 5,2 chilometri quadrati, in calo rispetto agli 8,2 chilometri quadrati del 2023», si legge nel documento. Troppo pochi per invertire la tendenza.

«Quelli presentati oggi sono i più negativi, da quando vengono pubblicati annualmente i dati sul consumo di suolo: se il consumo di suolo è l’impronta vista dall’alto della crisi climatica, allora la situazione restituita per il nostro Paese appare decisamente critica», si legge in un comunicato di Legambiente. «Preoccupa anche lo spostamento del fenomeno verso sud: Puglia, Sicilia e Sardegna raggiungono o superano oggi i livelli di consumo di suolo di regioni tradizionalmente più urbanizzate come Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Lazio».

«Sempre più cemento sui campi, sempre meno abitanti in città», afferma il presidente di Legambiente Stefano Ciafani, «pesano responsabilità di amministratori locali, ma anche un quadro obsoleto di norme, nazionali e regionali, inadeguate a fornire strumenti per il governo sostenibile delle trasformazioni urbane e territoriali».

(Unioneonline/L)

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