Svolta nell’inchiesta sulla morte di Manuela Murgia, la sedicenne trovata priva di vita nel canyon di Tuvixeddu, a Cagliari, nel febbraio del 1995.

La Procura della Repubblica di Cagliari ha iscritto un nome nel registro degli indagati: è quello di Enrico Astero, l’ex fidanzato della vittima, che ora ha 54 anni (difeso dall’avvocato Marco Fausto Piras).    L’accusa è di omicidio volontario. 

Oggi il pm Guido Pani gli ha notificato l’avviso di accertamenti tecnici non ripetibili riguardanti l’esame dei vestiti trovati 30 anni dopo nell’ex ufficio di Medicina legale del Policlinico.

Gli esami si terranno a Roma, il 4 giugno, nella sede del Servizio centrale di polizia scientifica. Tutte le parti in causa avranno la possibilità di partecipare con loro consulenti. 

La famiglia di Manuela Murgia si è affidata al genetista Emiliano Giardina. «È l'uomo che ha scoperto Ignoto 1 nel caso di Yara Gambirasio, un caso che sembrava quasi impossibile da risolvere», aveva spiegato l’avvocato Bachisio Mele, che difende i familiari della sedicenne assieme a Giulia Lai e Maria Filomena Marras.

LA RICOSTRUZIONE

La sedicenne era stata trovata a febbraio del ‘95, senza vita,  sul fondo del canyon di Tuvixeddu, una zona allora frequentata da sbandati e tossicodipendenti. Uscita dalla casa di famiglia a Is Mirrionis, la mattina del 4, non era rientrata. Il corpo fu trovato l’indomani. Le indagini della squadra Mobile, dopo i primi interrogatori, puntarono su una pista: quella del suicidio. Per gli inquirenti Manuela aveva deciso di togliersi la vita. Una ricostruzione che non aveva mai trovato la condivisione dei familiari, che hanno sempre sostenuto che quella ragazza di 16 anni non avesse alcun motivo per decidere di farla finita. Chi indagava, però, aveva deciso di chiudere il caso. 

Anche se già in quei giorni qualcuno aveva detto di aver visto Manuela salire su un’auto, proprio la mattina in cui, con tutta probabilità, morì. Anche se aveva lasciato il telefono portatile sul tavolo, quindi forse era stata chiamata e per questo era uscita senza dare spiegazioni. Gli “anche se” erano tanti. 

I familiari – sorelle e fratello soprattutto – non hanno mai dimenticato. Solo dopo tanti anni, nel 2023, sono venuti in possesso di tutti gli atti del procedimento. E hanno potuto vedere quelle strisciate sulle scarpe, che facevano pensare che il corpo di Manuela fosse stato trascinato. E avevano scoperto che dalla prima autopsia era emerso che nello stomaco della sedicenne ci fosse della minestra: dove l’aveva ingerita? A casa no. E ancora: i vestiti avevano dei segni che lasciavano pensare alla violenza. E le ferite mortali non erano compatibili con una caduta da circa 25 metri. 

Hanno insistito, i familiari, hanno seminato dubbi. Fino a far riaprire il caso. Dal deposito di medicina legale del Policlinico sono riaffiorati gli abiti della ragazza, che si credevano perduti. 

E dalle nuove perizie è emerso che Manuela potrebbe essere stata investita da un’auto, volontariamente.  E poi, solo dopo, gettata nel canyon. 

Fiaccolate, appelli per la verità, mentre l’inchiesta (riaperta) per omicidio volontario andava avanti. Fino alla svolta, clamorosa, di oggi.    

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