La scritta «sappiamo cosa avete fatto». E due mani sporche di sangue. Rilanciano i familiari di Manuela Murgia, la sedicenne trovata morta nel canyon di Tuvixeddu il 5 febbraio del 1995, ora che dopo trent’anni la Procura di Cagliari ha riaperto l’inchiesta con un’ipotesi di reato: omicidio. 

Sorelle e fratello di quella ragazza costretta a rimanere tale per sempre hanno fatto riaprire una caso che era stato archiviato come suicidio. E dopo il ritorno del caso all’attenzione mediatica e una fiaccolata culminata accanto al “luogo del delitto”,   proseguono la loro battaglia. 

«Noi sappiamo», scrivono, «la fiaccolata ha illuminato molto più che una strada: ha acceso volti, svelato silenzi, fatto arrivare voci che credevate sepolte. Le testimonianze parlano. E adesso, anche noi. Tutto porta a via Is Maglias».

«Chi sa e tace è parte del fango», proseguono i familiari, «Ma il fango si asciuga, si spacca. E lascia tutto esposto. Non dite poi che non vi avevamo avvisati». 

Poi il messaggio al responsabile, o ai responsabili: «Avete il tempo contato. Nascondersi non serve a niente. Ti conviene andare a dire ciò che hai fatto. Prima che lo faccia qualcun altro».

Enrico Fresu 

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