Consideriamo l'informazione dei tempi d'oggi. La sua funzione, a partire dalla stampa, pare quella di emulare i social, Facebook in testa; manifestare, fra le altre cose, ciò che dovrebbe rimanere segreto: le intercettazioni di conversazioni private, per esempio. Spesso, con le false notizie, è teatro della menzogna, in cui molto accade per essere assaporato dallo spettatore-lettore. I volti dei protagonisti della cronaca quotidiana sono allora offerti nudi, senza trucco, ma soprattutto ciò che viene offerto, per dirla con Roland Barthes, è il fatto che non ci sia nulla da leggere.

E questo perché il senso vero delle cose è nascosto o rovesciato. Non il valore, la morale trionfano, ma un grafismo che infonde eccesso a ogni accadimento con le sue formule di linguaggio in cui la parola ha dismesso l'antica connotazione sacrale per farsi vile strumento in grado di persuadere su tutto.

E che dire dei vari burattinai? Tante volte ci soggiogano aggiungendo ai fatti il deliberato linguaggio dell'intolleranza e della volgarità, e così, se siamo fidenti, veniamo defraudati della nostra facoltà di giudizio; si è riflettuto per noi, giudicato per noi, resta solo il diritto all'acquiescenza intellettuale.

Che significa tutto questo? Lo scandalo della quotidiana cronaca politica, giudiziaria e sportiva è spesso esagerata retorica! Il tentativo di cogliere il punto estremo di ogni evento porta alla lettura in uno stupore sempre meno intellettuale, legato alla superficie dello spettacolo, al solo fenomeno ottico. Falsa scrittura, troppo intenzionale per essere credibile, introduzione allo scalpore e alla sua amplificazione. Oggi i buoni sentimenti in genere sono visti con sospetto, ritenuti elementi di ipocrisia, e il rapporto, supposto franco e informale, anche brutale, è considerato il migliore con il vortice verbale che coinvolge tutto e tutti. Facebook è la scuola dove la violenza sulle donne, sui minori, sugli anziani, gli insulti più grevi agli individui che spiacciono, insieme agli auguri di morte violenta, generosamente elargiti, sono il brodo di cultura in cui ingrassano i tanti deboli di educazione e di conoscenze, quelli senza opportunità di abbeverarsi al bello dell'arte e al buono della vita.

Occorre un cambio culturale ma, come insegna Fernand Braudel, il cambio della mentalità è un fatto di lunga durata. Non si tratta di diventare concisi, a volte lo si è fin troppo! quanto di rendere proporzionato il rapporto tra significante e significato, sopprimendo sbavature ed eccessi per ridare dignità alle cose reali. Non si tratta, anche, di scegliere tra una cultura politicizzata o disimpegnata ma di tendere a una politica della cultura libera e attendibile.

D'altra parte, la cultura orale e visiva ha invaso a tal punto il nostro mondo da contrastare il primato e il privilegio di scrittura e lettura. Per tanti, i più indifesi, il tempo lento della lettura (su carta) e della riflessione è stato definitivamente sostituito dall'altro, immediato e falsamente scorrevole in cui siamo, forse definitivamente, immersi.

È ormai tramontato il tempo in cui, dalle pagine del "Corriere della sera", uomini di cultura come Piero Ottone e Umberto Eco discutevano su tesi opposte, sostenitore il primo di un modello di giornalismo anglosassone, con la netta separazione tra le notizie e i commenti, difensore Eco della tesi che non esista un'obiettività giornalistica. Tuttavia, pur da posizioni contrastanti, una preoccupazione li accomunava: la formazione di una coscienza professionale e di una responsabilità etico-politica che contrastasse il divismo delle grandi firme e il gusto spettacolare di certo giornalismo televisivo, ormai tornato in auge. D'altra parte, l'effetto dell'innovazione tecnologica sull'intero universo della comunicazione porta con sé inevitabili, e non sempre positive, mescolanze tra i vari codici rendendo il lettore sempre più spettatore: di dirette Facebook, di video e di notizie rivedute e corrette con la velocità consentita da dita incalzanti e dubitabile professionalità.

Angela Guiso

(Critica letteraria)

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