Diciamolo apertamente: nonostante le tante celebrazioni di questi giorni per il centocinquantesimo anniversario della morte, per molti di noi Alessandro Manzoni è legato a ricordi non proprio esaltanti. Ricorda, infatti, mattinate sui banchi di scuola, ore di studio, la paura di interrogazioni.

In questa prospettiva "I Promessi Sposi” alla fine si riducono a una materia da studiare tra le altre, un po’ fuori moda con questa storia di due popolani del Seicento che non riescono a sposarsi. «Ma perché non vanno a convivere invece di tirarla tanto per il lungo?!» si chiedono i ragazzi di oggi, e non è facile spiegare loro che nel Seicento le cose andavano in modo diverso, tra donne e uomini. Non facile senza sentirsi dire: «Ma allora perché leggiamo questo mattone, se racconta di un mondo tanto distante dal nostro?».

Un primo consiglio che si può dare di fronte a domande come queste è che bisogna darsi l’opportunità di affrontare il capolavoro manzoniano lontano da aule e professori, magari nella vivacissima lettura che ne fa Paolo Poli nell’audiolibro disponibile da inizio maggio (Emons, 2023, anche in download).

La copertina dell'audiolibro
La copertina dell'audiolibro
La copertina dell'audiolibro

Ascoltando oppure leggendo o rileggendo il romanzo si scoprirà che anche se tanto è cambiato da quel novembre 1628 in cui prende il via la narrazione manzoniana, I Promessi Sposi hanno mantenuto tanta della loro attualità nell’aiutarci a capire l’Italia e gli italiani. Questa storia milanese del XVII secolo, come la definisce lo stesso Manzoni, ha, infatti, l’universalità dei capolavori e consente facilmente di identificarsi anche se non si è mai visto neanche in cartolina “quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno”, teatro delle vicende di Renzo e Lucia.

Questo perché lo scrittore milanese racconta di un tempo e un luogo dove lo Stato e le istituzioni sono fragili, incapaci di dare certezze e protezioni ai propri cittadini. Racconta di pezzi grossi gonfi di alterigia e privi del minimo senso di responsabilità anche se occupano incarichi importanti e sono uomini di governo. Mammasantissima che mettono il loro vantaggio e la loro reputazione al di sopra di ogni cosa in quello che pare uno specchio del potere speculare a quello dell’Italia di oggi. Come non riconoscersi, almeno un poco!

A rendere ancora più familiare il quadro ci sono anche tirannelli, un po’ di figli di papà, perché di nobili natali, un po’ mafiosi, tipo don Rodrigo, con i suoi bravi che con metodi da cosca tiranneggiano il circondario. Che cos’è in fondo il famoso “questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai” detto a don Abbondio col tono di chi non ammette repliche se non un avvertimento ante litteram in stile mafioso?

Così come attualissimo – e italianissimo – è il comportamento di chi subisce i soprusi. Primo fra tutti il curato che non denuncia a chi di dovere perché ha paura e decide di chinare il capo. Così come i due promessi sposi che si guardano bene dal ricorrere alle autorità, che pure ci sono.

Anche nel villaggio di Renzo e Lucia vi è un console per mantenere l’ordine, a Lecco vi è un podestà, il sindaco dell’epoca, eppure di loro non ci si fida come tanti di noi ancora oggi mantengono, a torto o a ragione, una diffidenza ancestrale, radicatissima, per l’autorità costituita.

Meglio fare da soli, seguire l’“arte di arrangiarsi” anche perché le leggi, le famose “grida” che tanta parte hanno nel romanzo, sono tante e tanto roboanti da essere spesso in contraddizione tra loro e di fatto inapplicabili.

Così per capirci qualcosa ci vuole, non un avvocato ma addirittura un Azzeccagarbugli, un mestatore nel torbido abituato a muoversi nei pantani della giustizia e dell’ingiustizia. Uno che ha come specialità, però, quella di salvare i malfattori dai rigori della legge, non di aiutare le vittime. Se non è un pezzo d’Italia odierna questo, cosa lo è? E non vi pare allora ce ne sia abbastanza per continuare a frequentare Manzoni e i suoi Promessi sposi anche nei prossimi centocinquant’anni e più?

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