Ci sono gesti che sopravvivono nel tempo, incisi nella memoria collettiva come rituali di un’epoca lontana. Sa lissia è uno di questi. Un’eco di voci femminili che risuona ancora nei racconti delle nostre nonne, nelle vecchie immagini dei lavatoi comunali, nelle rive dei fiumi che un tempo erano il cuore vibrante della vita quotidiana.

È la storia di un’arte domestica dimenticata, quando il bucato non era solo un dovere, ma un vero e proprio rito sociale e familiare.

Prima che i detersivi riempissero gli scaffali dei supermercati e le lavatrici diventassero il simbolo del progresso domestico, le donne sarde (e non solo) si affidavano alla natura per lavare i panni. La cenere, residuo silenzioso del fuoco domestico, si trasformava in detergente: sa lissia, il detersivo delle nostre nonne e delle nostre mamme.

La sua preparazione era un processo lungo e accurato: la cenere della legna veniva setacciata e sciolta in acqua bollente per ore, creando una soluzione alcalina capace di sgrassare, sbiancare e disinfettare i tessuti. Dopo la decantazione e il filtraggio, il liquido ottenuto – una sorta di candeggina naturale – era pronto per il bucato.

I panni venivano immersi in questa miscela e lasciati riposare per una notte intera, prima di essere risciacquati nell’acqua corrente dei fiumi o nei lavatoi comunali. Il profumo che ne scaturiva era inconfondibile: fresco e pulito.

Nel mondo pre-industriale, il lavaggio dei panni era anche un appuntamento fisso che scandiva il tempo delle comunità. Fino agli anni Sessanta, le donne si riunivano nei lavatoi pubblici o lungo le rive dei corsi d’acqua per lavare i tessuti, sfregandoli su pietre levigate e risciacquandoli con vigore. Questa però non era un’attività solitaria, ma un momento di condivisione: le donne chiacchieravano, si scambiavano consigli e aneddoti e tramandavano i segreti di bucato da madre in figlia.

Fiumi e lavatoi diventavano una sorta di salotto a cielo aperto, una piazza liquida dove il lavoro si mescolava al dialogo e alla complicità. Anche con l’arrivo degli acquedotti e delle prime vasche in cemento nei cortili di casa, il rito de sa lissia non scomparve subito: almeno fino agli anni Settanta e anche dopo, molte famiglie continuavano a recarsi al fiume, fedeli a un metodo antico che garantiva un pulito senza pari.

Fare sa lissia non era un’operazione semplice. Richiedeva esperienza e attenzione, perché un errore poteva compromettere il risultato.

Le nostre nonne raccontano che, a volte, dopo l’asciugatura al sole, sulle lenzuola rimanevano strane macchie che riproducevano la forma del corpo di chi le aveva usate. Era il segno di un bucato non perfettamente riuscito, una piccola “traccia” di un tempo in cui il ricambio della biancheria non era così frequente. E così dovevano rifare tutto daccapo.

Oggi, sa lissia è un ricordo lontano: riscoprirne la storia significa riconnettersi con un sapere antico, con un rispetto per la natura e per le cose semplici che ormai vanno via lasciando una flebile traccia.

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