Perdita Basigheddu, la strega sarda che sfidò l’Inquisizione
La storia della “maga erborista” che venne arrestata e condannata dal Santo Uffizio, ma che riuscì “misteriosamente” a scampare alla pena capitale
Nella storia e nelle leggende della Sardegna non ci sono solo maghe e fattucchiere figlie della fantasia popolare, come Sa Coga, ma anche personaggi realmente esistiti. Uno su tutti: Perdita Basigheddu.
La strega di Nuoro – Perdita Basigheddu (nota anche come Perdìtta Basigheddu o Pedrita Basigueddo) nacque a Nuoro nel XVI secolo. Abilissima nel preparare unguenti e rimedi con le erbe, presto finì nel mirino dell’Inquisizione, che l’arrestò con l’accusa di stregoneria.
La vera storia – Della vicenda di Perdita si hanno solo informazioni parziali. Gli atti originali del suo processo sono andati perduti, e le informazioni su di lei sono contenute nella Relación de las causas pendientes y despachadas dell'anno 1605 e negli atti del secondo processo a carico di Julia Carta, una ragazza di Siligo accusata assiema alla “strega di Nuoro”.
Da quanto si può evincere dalle fonti, Perdita ammise (sotto tortura) di essere una strega e di aver avuto a che fare col Demonio e venne per questo condannata, probabilmente a morte. Ma la sentenza capitale non venne eseguita. Perdita rimase infatti, penitente, a disposizione della Chiesa e dopo anni poté affrancarsi, al punto che nel 1611 si sposò a Cagliari. Nel 1622, forse per ringraziare il Cielo della libertà ritrovata, ordinò al maestro campanaro cagliaritano Giovanni Pira di realizzare una campana destinata alla chiesa della Madonna della Solitudine a Nuoro.
La sfida all’Inquisizione – Perché Pedita, condannata, non fu giustiziata? Le fonti fanno ipotizzare che, durante la prigionia, rese dei servigi preziosi all’Inquisizione. Tra gli altri: accettò di servire i pasti ai prigionieri, curò (proprio con gli unguenti che l’avevano fatta condannare!) la gamba di un servo dell'inquisitore Martin de Ocio y Vecila e, soprattutto, denunciò assieme alla sua compagna di sventura Julia Carta casi di corruzione e ruberie all’interno del Santo Uffizio, cosa che le valse, probabilmente, un trattamento di favore e le permise, infine, di ottenere libertà e redenzione.
(Unioneonline/l.f.)
