Davanti agli occhi le passano immagini che non scorderà mai. Ignazia Sanna, 48 anni, rivede il figlio Davide Trudu mentre, sabato pomeriggio, prepara il caffè per lui e per l'amico Cristian Carta. «Poi sono usciti per andare in campagna a terminare la raccolta delle rotoballe di foraggio cominciata al mattino. Mamma, a dopo, mi ha detto. Da casa al punto in cui avevano lasciato il trattore sono cinquanta metri: tempo due minuti, forse meno, ed è successo l'incidente».

Davide è caduto dal mezzo ed è morto all'età di 29 anni a causa delle gravi ferite. La madre ha acconsentito alla donazione degli organi che hanno permesso di salvare la vita a cinque malati gravi. Lei che la morte l'aveva già sentita bussare alla porta di casa, via Emanuela Loi numero sei, quando sette anni fa era morto suo marito, Pino (per una grave malattia), il padre dei suoi figli, Davide, Maikol, Giada e Nicolò.

Lei si è accorta subito dell'accaduto?

«Sì, ho sentito le urla dei vicini che chiamavano il mio Davide, sono corsa e l'ho visto disteso a terra, senza conoscenza. Ho capito subito che si trattava di una cosa grave perché perdeva sangue dall'orecchio. Su di lui c'era Cristian, l'amico che guidava il trattore, che ha provato a soccorrerlo».

Si è detto che Cristian Carta fosse fuggito.

«Non è vero: è rimasto accanto a Davide. Quando si è allontanato l'ha fatto solo per prendere dei farmaci, e dopo l'arrivo delle ambulanze del 118. Io ho pensato da subito che Davide fosse molto grave. Gli ho sentito il respiro e mi ha ricordato quello di suo papà, che respirava malissimo quando stava per morire. Ho pensato al peggio e mi sono detta: no, Davide non ce la fa. Purtroppo avevo ragione. In ospedale ho chiesto a una dottoressa se poteva salvarsi, ma la sua risposta non mi ha dato speranza. L'indomani Davide è morto».

Un ricordo di Davide.

«Era un bravissimo figlio, aveva il mio stesso carattere. Aveva tanta voglia di fare. Era, oltre che figlio, anche fratello e padre: quando è mancato mio marito, lui aveva 23 anni e si è fatto carico dei fratelli più piccoli. Da allora ha preso a coltivare i terreni che il padre, anche lui agricoltore, ci aveva lasciato. Davide si è dato sempre da fare. Non doveva andare così: ancora non mi capacito che non ci sia più, che non possa rivederlo, che non possa più entrare dalla porta di casa».

Quando le hanno proposto di donare gli organi di Davide?

«Domenica mattina il mio compagno Rinaldo ha ricevuto una telefonata e mi ha detto: dobbiamo andare in ospedale. Gli ho chiesto: È morto, vero? Davide non c'era più. Il primario e i medici della Rianimazione, con grande professionalità e riguardo, mi hanno chiesto se ci fosse la volontà di donare gli organi».

Cosa ha pensato?

«Una decisione difficile, in un momento di dolore terribile. Ho consultato i miei figli, la decisione l'ho presa con loro. Da questo vorrei che arrivasse un insegnamento: Davide non sarebbe tornato con noi, ma donare significava dare speranza ad altre persone sfortunate che avrebbero continuato a vivere. Mi aggrappo a questo per ora, poi mi piacerebbe conoscere e abbracciare chi vive grazie a lui».

Ignazio Pillosu

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