Se n'era innamorato così tanto da decidere di tornarci. Di scoprirla veramente, la Sardegna, al di là di quella breve vacanza fatta da turista, tempo prima con la sua famiglia, che gli aveva fatto sentire i profumi e vedere sprazzi di paradiso.

Non doveva neppure passare troppo tempo. A scatenare l'irrefrenabile passione era stato un articolo firmato da Nicolino Migaleddu nel giornale degli anarchici italo-americani, "L'Adunata dei Refrattari". Era il 1952 e il giovanissimo Andreas Fridolin Weis Bentzon decise di motivare, ai suoi genitori, la sua scelta di partire verso la Sardegna, con poche e ferme parole: I found the subject for my life, ho trovato lo scopo della mia vita. Troppo curioso, quel ragazzo, per stimolare nel padre e nella madre inutili repliche o addirittura secchi no. Il benestare, più dei sorrisi, erano state le cartoline già affrancate che sua madre le aveva messo in mano per strapparle una promessa. Spedirle, non scordare di farlo. Andreas aveva soltanto sedici anni e la Sardegna la visitò in lungo e largo, a piedi e in autostop, divorando pane e pomodori sia a pranzo che a cena e dormendo - come scrisse su quelle stesse cartoline spedite a Copenaghen - nei «cimiteri dove neppure i banditi più feroci sarebbero mai entrati durante la notte».

Musicista jazz professionista nonostante la giovanissima età, quel ragazzo biondo della Danimarca aveva dimostrato da tempo di possedere una mente brillante e aperta al mondo. Il suono delle launeddas lo udì e scoprì per la prima volta a Santa Giusta, a casa del suonatore Felicino Pili. E lui, che con la musica aveva un rapporto privilegiato e profondo (a Copenaghen, col fratello maggiore Adrian Christofer, aveva fondato il club Montmartre, suo padre Jorgen era un compositore e musicista era anche sua madre Micaela), capì subito che quel quella sgorgata da semplici canne di fiume era musica vera, musica nobile. E le launeddas uno strumento complesso, difficile.

Si domandava, Andreas Fridolin Weis Bentzon, mentre ascoltava Felicino Pili e gli altri suonatori, come fosse possibile che maestri così capaci fossero costretti a un'esistenza di povertà. Non riusciva a comprendere come la moglie di Pili potesse usare per cucinare nel caminetto vecchi pneumatici e non legna per mancanza di soldi. Come fosse possibile, si chiedeva il danese, che una popolazione così povera potesse esprimere un'arte così elaborata.

Voleva trovarle, le risposte alle sue domande di ragazzo. Era lo scopo della sua vita, come aveva spiegato alla sua famiglia. E per la seconda raggiunse l'isola. Non più da turista. Lo fece arruolandosi nel circo Zanfretta col compito di badare all'elefante. Quando c'era la parata, lui altissimo e magro, l'amico Christian Ejlers e la fidanzata Ulla Ryum venivano invece utilizzati per lo show.

Col circo visitò davvero gran parte dell'Isola, amandola sempre più. Incuriosito dal fenomeno del banditismo che gli fece, forse troppo celermente, bruciare le tappe. Cercò così di intervistare i più noti fuorilegge dell'epoca, come il bandito di Orgosolo Pasquale Tandeddu. Troppe domande, nel cuore della Barbagia. Troppa curiosità. Gli fecero capire che era meglio smetterla. Ed era meglio lasciarsi alle spalle, in fretta e furia, quei luoghi. La sua fama di ricercatore fu ben presto sostituita da quella di "presunta spia". Finì a Cagliari e sulla spiaggia di Calamosca piazzò la sua tenda. Per vivere vendeva braccialetti e donava, pagato, il sangue in ospedale. Una mattina i suoi amici cagliaritani lo raggiunsero nella caletta assolata e gli imposero di sparire. Non da Calamosca, dall'Isola. «C'è gente che sta scendendo giù a Cagliari per farti la pelle», gli dissero.

Il peschereccio con cui salpò da Cagliari raggiunse Napoli. E da qui si incamminò per Copenaghen, dove guadagnò un po' di soldi con le lezioni di greco e latino. Si iscrisse all'Università con la Sardegna nel cuore. Un sogno che pian piano diventava anche amore professionale.

Nel novembre del 1956, quando Cagliari e l'Isola vengono avvolte da un'eccezionale nevicata, Bentzon ha di nuovo attraversato il Tirreno. Non è più a piedi, ma in sella alla sua motocicletta. La musica dei sardi e delle launeddas è un libro da studiare a fondo e lui vuole farlo. D'altra parte era quello il motivo del suo nuovo viaggio. Della trasferta di studio.

Il microfono del registratore Tandberg a bobina raccoglie le suonate dei maestri. Di Antonio Lara, Aurelio Porcu, di Pasquale Erriu, Efisio Melis, Dionigi Burranca e di tanti suonatori meno noti. Bentzon è un ventiduenne intelligente, aperto. Ha dalla sua la capacità di entrare nel cuore dei musicisti sardi, anche dei maestri meno disposti a concedersi e gelosi di svelare i segreti delle suonate.

La Rolleyflex fruga nell'intimità delle genti sarde: dei suonatori, delle maschere del Carnevale, dei poeti improvvisatori.

Gli era stata assegnata una borsa di studio Italo-danese ma lo Stato italiano i fondi glieli diede con forte ritardo, quando ormai la ricerca era conclusa. Furono i sardi, anche i più poveri, a offrirgli un pasto caldo, un tetto. Permettendogli così di non interrompere la sua ricerca antropologica e etnomusicologica. «Andreas Bentzon spediva il materiale in Danimarca, come le maschere raccolte al carnevale di Ottana nel 1958, la cui collezione presente al museo di Copenaghen rappresenta un unicum al mondo», racconta Dante Olianas, presidente dell'associazione Iscandula e traduttore del libro sulle launeddas scritto da Andreas Bentzon.

Nel 1962 il ricercatore danese torna nell'Isola, questa volta per studiare la poesia sarda. "Mentre in tutto il mondo occidentale la poesia è appannaggio dei colti, in Sardegna ogni pescatore, ogni pastore, ogni contadino è in grado di esprimere i propri sentimenti in rima", scriveva l'antropologo danese nei suoi appunti di viaggio. «Era questo a farlo impazzire», spiega Olianas. Era la disattenzione delle istituzioni davanti alla musica e alla poesia improvvisata a farlo adirare.

Furibondo, nel 1958 si presentò al Conservatorio, da Porrino, per domandargli come mai non fosse mai stata istituita la classe delle launeddas.

Roma, ambasciata danese. Bentzon conosce una ragazza di Nule e proprio a Nule comincia un nuovo lavoro di ricerca. Sono trascritte in duemila pagine di appunti, di schede; 300 registrazioni di tenores e un immerso archivio fotografico. Miti, abigeato, riti della nascita e della morte, il barracellato. Quelle ricerche le continueranno i suoi studenti. Un tumore allo stomaco fermò Andreas Bentzon quando aveva soltanto 35 anni.
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