Tra regali e abbuffate, il Natale è tutto fuorché una festa all’insegna della sostenibilità ambientale. Ma per l'ambiente qualcosa si può fare, a cominciare dalla scelta dell’albero. Vero o di plastica? Meglio quello vero e con le radici, dicono i botanici: essendo cresciuti in un vivaio assorbono anidride carbonica, mentre gli abeti di plastica - quelli che, quasi tutti prodotti in Cina, generalmente si trovano nelle case degli italiani - causano emissioni di Co2 nell’atmosfera, sia quando vengono prodotti che durante le lunghissime distanze del trasporto. Uno studio svolto da Carbon Trust rivela che il 66 per cento delle emissioni di gas serra legate all’albero artificiale dipende dalla materia prima (petrolio), il 25 per cento è legato alle fasi di fabbricazione, il restante 9 per cento al trasporto.

Eppure l’albero sintetico è la scelta di tanti, spesso anche di chi pensa di salvare così un abete vero. Un falso mito, ha spiegato l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale: gli alberi veri non vengono strappati alle foreste e dunque nessun polmone verde viene sacrificato alle festività del Natale. Arrivano invece dai vivai specializzati, e vengono concimati e trattati con prodotti fitosanitari. Un albero di Natale vero e con le radici è un albero vivo, sicché una volta in casa è bene tenerlo lontano dalle fonti di calore e, finite le feste, provvedere a reimpiantarlo in giardino (avendo cura di non esporlo bruscamente al freddo, ma sistemandolo per qualche giorno in un luogo riparato) oppure, se non si hanno spazi all’aperto, affidarlo a giardini, parchi o associazioni disponibili a ripiantarlo. L’alternativa è l’avvio al compostaggio.

Ma come è nata la tradizione di addobbare l’albero? Si tratta di un’usanza di origini antichissime che è diventata una moda, dunque una tradizione di massa, a partire da metà Ottocento quando, era il dicembre 1848, in Gran Bretagna la rivista Illustrated London News pubblicò un’immagine della regina Vittoria, del principe consorte Alberto e dei loro bambini che a Buckingham Palace ammiravano un albero di Natale decorato con le candele. Era il ritratto dell’amore e della semplicità, qualità apprezzate dalla nascente borghesia che finì per imitare la coppia reale. Gli inglesi, e tutto il mondo anglosassone, fecero dunque propria un’usanza fino a quel momento diffusa in Germania, Paese d’origine della regina Vittoria e del marito Alberto di Sassonia Coburgo Gotha, principe originario della Turingia.

In Italia, invece, fu la regina Margherita a lanciare la moda. Era il dicembre del 1898 e al Quirinale apparve uno sfarzoso abete decorato con palline scintillanti. Fuori dalla residenza reale, però, c’era un Paese afflitto dalla miseria, dalla malaria, dalle tasse e dalla repressione delle lotte per il lavoro; sicché la sovrana poté influenzare giusto gli aristocratici e i benestanti, e solo dopo il boom economico degli anni Sessanta del ‘900 l’albero di Natale entrò davvero nelle case degli italiani.

Il sempreverde è stato fin dall’antichità simbolo di rinnovamento e rinascita, e se i Romani salutavano il nuovo anno scambiandosi un ramo di agrifoglio, i popoli nordici celebravano il solstizio d’inverno adornando la casa con un alberello. Ma qual è l’origine della tradizione giunta fino a noi? La Lettonia e l’Estonia se ne contendono la primogenitura. Nella piazza più importante di Riga, in Lettonia, c’è una targa scritta in otto lingue la quale informa che il primo albero di Capodanno fu addobbato in città nel 1510. Un primato insidiato da Tallin, in Estonia, dove già nel 1441, giovani scapoli e nubili ballavano intorno a un grande abete decorato per la festa. L’albero, nell’un caso e nell’altro, finiva per essere bruciato. La tradizione si diffuse prima in Alsazia, che nel XVI secolo era sotto la dominazione tedesca, poi nel nord della Germania di fede protestante. Non a caso, secondo alcune fonti, fu proprio Martin Lutero uno tra i primi a decorare con le luci l’albero di Natale.

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