È una storia vera, lunga, molto affascinante, dettagliatissima, sarebbe un saggio ma è scritto come un romanzo. Un sapiente mix tra un fatto di cronaca nera che ha sconvolto il mondo più di venticinque anni fa, la biografia di una famiglia e la ricostruzione della nascita, della crescita, della grandezza, del crollo, della quasi morte, resurrezione e successo di un’azienda-icona.

“House of Gucci, una storia vera di moda, avidità, crimine” (Garzanti, 18 euro, 445 pagine) è il libro da cui è stato tratto il film di Ridley Scott, stroncatissimo in Italia (e con la famiglia sul piede di guerra), con Adam Driver nei panni di Maurizio, Lady Gaga nella parte di Patrizia (lei molto apprezzata da pubblico e critica) e un cast stellare.

Ma qui parliamo del libro, che inizia proprio quel terribile giorno, il 27 marzo 1995, quando Maurizio Gucci, 46 anni, erede della dinastia dell’alta moda e protagonista del jet set internazionale, viene assassinato a colpi di pistola da uno sconosciuto a Milano. Era uscito da casa poco prima, abitava in un palazzo signorile in corso Venezia, e aveva appena oltrepassato il portone del suo ufficio, in via Palestro. Il custode, Giuseppe Onorato, gli aveva appena dato il buongiorno quando vede un uomo dai capelli scuri che si aggira sul marciapiede da un po’ entrare nell’atrio e sparare. Tre colpi in rapida successione verso Maurizio, che si accascia in terra, poi il killer preme il grilletto un’altra volta: un proiettile fatale alla tempia destra. Ancora, due colpi contro Onorato sotto shock, che rimane ferito ma si salva.

Per oltre due anni le indagini si muovono tra gli affari societari e possibili nemici concorrenti, poi improvvisamente nel 1998, grazie alla confessione di un uomo che ha partecipato all’omicidio, Patrizia Reggiani, ex moglie di Maurizio e madre delle sue due figlie, soprannominata la “Vedova nera”, viene condannata a 29 anni come mandante dell’omicidio. Insieme con lei, i suoi complici: l’amica di lunga data Pina Auriemma, e tre uomini, tra cui il sicario. Patrizia verrà scarcerata nel 2014, dopo aver scontato sedici anni di quelli che le erano stati dati, in parte abbuonati per buona condotta.

La donna, che amava condurre un’esistenza sopra le righe, covava un infinito rancore nei confronti di Maurizio che l’aveva lasciata tempo prima, e non faceva nulla per nasconderlo. Era gelosa perché lui stava per sposare la sua nuova compagna Paola Franchi? Voleva soldi, immobili, come la proprietà di Saint Moritz, o la meravigliosa Crèole, considerata la barca più bella del mondo?

Sono le domande a cui prova a rispondere l’autrice del libro, Sara Gay Forden. Originaria di Francoforte, giornalista e scrittrice a Washington, ha vissuto in Italia per più di ventidue anni, seguendo il business della moda e raccontando l’esplosione di marchi come Armani, Versace, Prada e Ferragamo. Oggi vive a Washington e guida un team per Bloomberg News che indaga sull’attività di lobby e sulle sfide affrontate dalle grandi multinazionali della tecnologia come Amazon, Facebook, Google.

La “dynasty” comincia nel 1921 in una bottega di Firenze, con le idee geniali del capostipite, Guccio Gucci (1881-1953). “La storia ricca e centenaria dei mercanti fiorentini ha sempre pulsato nelle vene dei Gucci”, scrive Forden. Guccio, il nonno di Maurizio, da ragazzo scappò da casa e dalla bancarotta del padre (con un’azienda di cappelli di paglia) e andò a Londra, dove trovò lavoro al famoso hotel Savoy, e imparò moltissimo. Soprattutto guardando i membri dell’high-society che viaggiavano con quantità di valigie, bauli e borse. Rientrato a casa, comincia a gettare le basi di quella che sarà una grande e geniale impresa, che parte, appunto, con valigie, borse, e poi mocassini.

Guccio ha sei figli, uno muore piccolissimo, un altro – avuto da sua moglie con un precedente compagno - lo adotta, solo Aldo (1905-1990), Vasco (1907-1974) e Rodolfo (1912-1983), che fece l’attore e sposò una collega (sono i genitori di Maurizio) si occuparono attivamente dell’azienda. Poi sono arrivati i nipoti, e la faida familiare raggiunge il culmine.

La storia della famiglia, piena di litigi, denunce, riappacificazioni, è strettamente legata a quella dell’azienda, alla personalità forte dei suoi componenti, all’avidità, alle idee, spesso all’incapacità di realizzarle, e si dipana in un racconto scritto – è vero- come se fosse un articolo di cronaca, asciutto e denso di particolari, ma molto avvincente.

“Nel corso degli anni il brand ha spiccato il volo, è caduto ed è risorto di nuovo”, sottolinea Forden. “I primi anni del XXI secolo sono stati gli ultimi di Tom Ford e Domenico De Sole: Tom & Dom, come è stata soprannominata la coppia composta dallo stilista e dal ceo, sono stati celebrati come una delle miglior squadra di creatività e management nella storia del settore. In meno di dieci anni hanno trasformato Gucci da un’azienda fiorentina di pelletteria che si avvicinava inesorabilmente al fallimento, in una conglomerata del lusso quotata in Borsa, un marchio di enorme successo con un volume di vendite annuale di 3 miliardi di dollari”.

Un marchio (di proprietà del gruppo Kering di Francois-Henri Pinault) che anche oggi, sotto la direzione creativa di Alessandro Michele, continua a essere una delle stelle più splendenti del made in Italy.

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