Nell’affollato calendario delle giornate mondiali non poteva mancare quella dedicata alla pizza. Il 17 gennaio ad ogni latitudine si celebra l’alimento più iconico del nostro Paese, in versione margherita e nelle decina di varianti affastellate nei menu, da Cagliari a Kuala Lumpur, da Vancouver a Città del Capo.

La classifica

L’ultimo dato disponibile sul giro d’affari risale al 2016: 100 miliardi di euro a livello globale. Va da sé che la passione abbia diverse gradazioni in base al Paese. Gli americani sono i primi della classe con un consumo di 13 chili a testa, mentre gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili l’anno, e superano gli spagnoli (4,3), i francesi e i tedeschi (4,2), i britannici (4), i belgi (3,8), i portoghesi (3,6) e gli austriaci, che con 3,3 chili di pizza pro capite annui chiudono l’elenco. Col tempo si sono accreditate versioni inimmaginabili per il palato degli italiani: quella hawaiana, per esempio, con l’ananas, o quella con pollo e banane.

La critica

Coldiretti ha incluso anche l’Italia tra i Paesi che spesso non garantiscono l’originalità degli ingredienti: «Quasi due pizze su tre servite in Italia sono ottenute da un mix di ingredienti provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori, dalla mozzarella lituana al concentrato di pomodoro cinese, ma c’è anche l’olio tunisino e il grano ucraino. Una situazione che mette a rischio un settore con un fatturato di 10 miliardi di euro con almeno 100mila lavoratori fissi ai quali si aggiungono altri 50 mila nel fine settimana, secondo i dati dell’Accademia Pizzaioli». Sempre Coldiretti: «Ogni giorno solo in Italia  si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63mila pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio, dove si lavorano in termini di ingredienti durante tutto l’anno 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio di oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro».

Guinness dei primati
L’Italia è entrata nel Guinness World Record attraverso il portone spalancato – manco a dirlo – a Napoli con la Pizza più lunga del mondo, cotta il 18 maggio 2016 con cinque forni a legna progettati e costruiti per l’occasione: 1853,88 metri di bontà che hanno già un posto nella storia. Un sondaggio della Coldiretti ha accertato  il 39 per cento degli italiani ritiene la pizza il simbolo culinario italiano e che pizza sia la parola italiana più conosciuta all’estero con l’8%, seguita dal cappuccino (7%), spaghetti (7%) e dall’espresso (6%), secondo un sondaggio on line della società Dante Alighieri.

La vera pizza

“Vera pizza italiana” è una formula abusata che sottintende la classica Margherita, l’unica a essere riconosciuta come specialità tradizionale italiana e garantita dal marchio UE. L’atto di nascita risale a giugno 1889, documentato dal menu della real Casa di Savoia. Allora il maggiordomo di Palazzo Capodimonte, sede estiva della famiglia reale, convocò il papà della margherita, il cuoco e pizzaiolo Raffaele Esposito, e gli chiese di preparare la specialità alla regina Margherita. Da lì al riconoscimento ufficiale del nome il passo fu breve. Nessun mistero sui condimenti, che Esposito scelse in omaggio ai colori della bandiera nazionale adottata dal regno d’Italia appena riunificato. Fu la strada per l’immortalità che percorse a tempo di record decretando uno standard: pizza cotta nel forno a legna, con i bordi alti e condita da pomodoro, mozzarella a cubetti invariabilmente Dop o Igp, basilico e un’idea di olio extra vergine d’oliva.

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