Un premio Nobel, quattro funerali. E un grande giallo attorno alla sua morte. Pablo Neruda, acclamato poeta dell’amore, diplomatico in varie parti del mondo, militante comunista, non sarebbe morto per un cancro come è stato certificato: il suo decesso sarebbe in realtà un omicidio per avvelenamento nel Cile travolto dal colpo di Stato di Augusto Pinochet, cinquant’anni fa. Neruda, pseudonimo di Ricardo Neftalì Reyes, premio Nobel per la letteratura nel 1971, finisce i suoi giorni nella clinica Santa Maria, a Santiago, il 23 settembre del 1973. È l’inizio del giallo sebbene il caso esploda molto tempo dopo, quando la dittatura è finita. Un puzzle inquietante e pieno di domande, indizi, accertamenti, ricostruito in un libro inchiesta di Roberto Ippolito, dal titolo “Delitto Neruda” pubblicato da Chiarelettere qualche mese fa, che propone uno scenario ben diverso da quello ufficiale, accettato per trent’anni, cioè fino a quando l’autista del poeta fa una pubblica denuncia. Nel 2004 l’uomo racconta per la prima volta che Neruda, pur sofferente per un tumore alla prostata, sarebbe morto in conseguenza di un’iniezione durante il ricovero nella clinica. È l’inizio di una battaglia complicata, all’inizio solitaria, poi sostenuta dai familiari, anzitutto dal nipote di Neruda, l’avvocato Rodolfo Reyes, in Italia le scorse settimane per parlare dell’omicidio dello zio.

L’atto finale del caso arriva con la decisione a inizio dicembre della giudice cilena Paola Plaza che chiude la vicenda respingendo le richieste di una parte del Partito comunista e dei familiari per la riapertura delle indagini per verificare se ci fossero responsabilità nel decesso avvenuto 12 giorni dopo il golpe che ha deposto il presidente Allende, amico del poeta. Per la giudice sono irrilevanti le ragioni per nuove indagini sostenendo che «lo Stato ha utilizzato per scoprire la verità tutte le risorse disponibili, compreso l’intervento di esperti nazionali e stranieri e l’uso di tecnologie senza precedenti, oltre all’ottenimento di testimonianze, vari tipi di perizie, ricerca di documenti e rapporti di polizia».

I familiari, invece, sollecitano nuovi accertamenti perché il certificato ufficiale registra «una causa di morte inesistente ovvero la cachessia tumorale». E poi, per le «inconcludenti dichiarazioni» dei funzionari della clinica Santa Maria e per la testimonianza dell’autista Manuele Araya. Il libro di Ippolito ricostruisce anche le vicissitudini dell’autista, arrestato e torturato, proprio mentre Neruda si spegne. Quando si trova nella casa del premio Nobel a Isla Negra, dove va a prendere libri e altre cose personali in vista della partenza in Messico, pronto a dare asilo politico al poeta già ricoverato in clinica per il tumore, apprende da una telefonata di Neruda dell’iniezione fatta da un misterioso medico. Poche ore dopo la fine mentre Araya è costretto dalla clinica a girovagare nelle vie di Santiago alla ricerca di un farmaco che in realtà lo porta tra le mani dei militari. Dopo ripetute interviste dell’autista, che scampa alla morte durante la prigionia, l’inchiesta sulla morte di Neruda decolla nel 2011 sulla base di una denuncia presentata dal Partito comunista, poi sostenuta dal Programa de derechos humanos costituito nell’ambito del ministero dell’Interno e impegnato a far luce sui decessi di detenuti e politici durante il regime.

Iniziano gli accertamenti autoptici con l’esumazione dei resti del poeta che avviene nel 2013. Restano a disposizione dell’Unidad especial de identificacion del Servicio medico legal fino al 2016 quando, sotto la presidenza di centrosinistra con Michelle Bachelet, si compie un funerale pubblico, negato nell’immediatezza della morte, avvenuta nel clima torbido e pesante del colpo di Stato. Dopo l’omaggio solenne, i resti del poeta tornano alla dimora definitiva, in faccia all’oceano, a Isla Nigra, accanto alla terza moglie Matilde Urrutia. È di fatto il quarto funerale, dopo il primo compiuto in modo frettoloso il 25 settembre 1973, nella Santiago stravolta dal coprifuoco e dal terrore, blindata dai militari. La salma inizia una peregrinazione che è lo specchio indiretto del clima vissuto nel Cile di Pinochet. Viene prima portata dalla clinica alla casa del poeta, La Chascona, a Santiago, violata e saccheggiata tra libri distrutti, quadri a pezzi, ingresso devastato. La bara, avvolta dalla bandiera del Cile, è salutata da tante persone che a sorpresa, visto il caos politico a due settimane dal colpo di Stato, si uniscono al corteo.

La prima sepoltura è nel mausoleo di Carlos Dittborn, nel Cementerio general di Santiago, dove resta per sette mesi. Nel maggio del 1974 la salma finisce nella nicchia numero 44 con un secondo funerale, molto sobrio. Lì resta fino al dicembre 1992 quando, esaurita la sanguinosa dittatura di Pinochet, sconfitto alle elezioni del 1990, viene riesumata, insieme a quella della moglie, per ricevere pubblici onori in una cerimonia ufficiale nel Salon de Honor dell’ex Congreso nacional. Di fatto il terzo funerale con una grande partecipazione popolare che si conclude con la sepoltura a Isla Negra, davanti alla casa del poeta rispettando così le sue volontà. Ma per Neruda la pace tarda ad arrivare. Le interviste dell’autista fanno deflagrare il caso che resta ancora aperto. Sarà necessaria la riesumazione della salma, nel 2013, per avviare una lunga serie di accertamenti, condivisa dai parenti ma non dalla Fundacion Neruda che gestisce beni e diritti d’autore. Il ritorno a Isla Negra avviene tre anni dopo con il quarto funerale.

«L’omicidio di Neruda è nei fatti. Anche al di là dell’inchiesta giudiziaria», sottolinea Ippolito nel libro snocciolando tanti fatti, come il batterio ritrovato nel molare del poeta, uccisioni e torture degli amici, il medico fantasma, la scomparsa della cartella clinica, l’attenzione della Cia e del potente segretario di Stato americano Herny Kissinger. Neruda è per la dittatura una presenza scomoda, poeta militante e combattivo. È autorevole esponente dell’opposizione a Pinochet, autore tra l’altro di un libro dal titolo “Incitacion al nixonicidio y alabanza de la revolucion chilena”. Nel mirino il presidente americano Nixon, accusato di destabilizzare il Cile. La pubblicazione segna la fine della carriera diplomatica di Neruda e dell’incarico di ambasciatore in Francia. Quando torna in patria, già malato per via del tumore, il Cile è su un crinale difficile che precipita con l’assalto al palazzo presidenziale La Moneda, la morte di Allende e l’incubo della dittatura.

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