Uccisa a due passi da piazza Yenne: la storia di Albina Batzella
La donna fu trovata con le mani e i piedi legati con le lenzuola. E sulla bocca una striscia di nastro adesivoLe mani e i piedi legati con le lenzuola. E sulla bocca una striscia di nastro adesivo. Il corpo – o quel poco che ne restava – era steso a terra e completamente ricoperto da sacchi pieni di spazzatura. E’ così che polizia e vigili del fuoco hanno trovato Albina Batzella. Viveva da sola al terzo piano in via Azuni, nel cuore della città, a due passi da piazza Yenne e dalla statua di Carlo Felice, quella che quando vince il Cagliari viene vestita di rosso e blu.
Ottant’anni, una pensione di neanche 600 euro e un chiodo fisso, negli ultimi tempi: voleva lasciare il quartiere di Stampace per trasferirsi a Sant’Elia, dove le era stata assegnata una casa popolare. Ma il sogno non si è mai avverato perché quell’appartamento era stato occupato da una famiglia di abusivi ancora prima lei ci si trasferisse. Era il suo chiodo fisso, quello di abbandonare il centro storico perché Albina Batzella aveva paura. Qualcuno la minacciava. Entrava in casa all’improvviso, la intimidiva, talvolta la picchiava. O almeno questo aveva raccontato più di una volta a un amico avvocato, anche se in maniera piuttosto confusa.
Lei voleva andar via dalla casa di via Azuni a tutti i costi. Alla signora Alba, come la chiamavano tutti quanti nel quartiere, il Comune aveva offerto anche un altro appartamento. Questa volta a Is Mirrionis, un’altra zona popolare dove c’era a disposizione un piccolo alloggio. Troppo piccolo, troppo malandato: Albina aveva rifiutato l’offerta. Ed era rimasta a Stampace.
Il 12 ottobre del 2007 viene ritrovata senza vita, con le ossa fracassate, probabilmente a bastonate. I vicini non la vedevano da giorni. Più o meno da una settimana. Hanno iniziato a preoccuparsi e sono andati a bussare alla sua porta. Ma non ha risposto nessuno. In compenso da sotto l’uscio cominciava a filtrare un odore strano. Un odore di morte. Quando sono arrivati i vigili del fuoco, per sfondare la porta, tutti hanno dovuto indossare la maschera antigas. Poi è arrivata la polizia. E hanno trovato Albina Batzella legata e imbavagliata, sepolta sotto un cumulo di rifiuti che probabilmente lei stessa aveva accumulato.
Un omicidio. Sono iniziate così le indagini per trovare i responsabili. Chi può uccidere un’anziana signora, innocua, non ricca, devota come pochi nel quartiere, al punto da avere sempre le tasche degli abiti piene di immaginette sacre, i classici santini, che verranno trovati anche vicino al cadavere?
Gli investigatori e i cronisti cominciano a scavare nel passato della donna. Cercando di ricostruire gli spostamenti, le abitudini. Danno un volto ai familiari. Alcuni abitano a Nuraminis, un centro vicino a Cagliari, dove Albina Batzella aveva vissuto. Cercano dettagli della storia di questa donna che possano dare uno spunto, una pista da seguire. Sentono tutto il vicinato. Forse la chiave è a portata di mano, nel quartiere di Stampace. Che negli ultimi mesi ha notato un via vai strano in quell’appartamento al terzo piano, che dal balcone vede i campanili della chiesa di Sant’Anna e la facciata della chiesa di San Michele.
La signora Alba ospitava alcuni ragazzi stranieri. Qualche testimone racconta addirittura che prendesse un piccolo affitto, di sicuro di sicuro tutto il quartiere ha notato che negli ultimi tempi due ragazzi nordafricani, conosciuti qualche settimana prima alla mensa del povero, la aiutavano a portare a casa, su per le scale, i bidoni d’acqua che le servivano perché i rubinetti dell’appartamento erano a secco. Due giovani che sono diventati i suoi assassini.
Anche se uno di loro, Abdelmalek Ghiloubi, la chiama addirittura “mamma”. Algerino di Hannaba, arrivato in Sardegna a bordo di un gommone insieme al suo amico Khaled Benjedou. Entrambi clandestini. Per giorni hanno aiutato Albina, hanno vissuto con lei. E hanno visto dove l’anziana nascondeva i suoi risparmi. Così hanno iniziato a rubare piccole somme. La narcotizzavano, poi frugavano tra i mobili. Finché non hanno deciso di alzare la posta e rubarle tutti i soldi custoditi in casa.
Avevano programmato tutto. Lo scotch per tapparle la bocca, i guanti per non lasciare impronte. Hanno immobilizzato l’ottantenne e l’hanno sepolta sotto i rifiuti che lei stessa aveva accumulato – chissà perché – nell’appartamento. Dopo sono scappati. Prima a Olbia, dove hanno preso il traghetto per Civitavecchia. I carabinieri li hanno fermati a Napoli, ultima tappa di una fuga in treno che ha toccato pure la Svizzera. Non credevano di averla uccisa, o almeno così raccontavano agli amici al telefono. Comunicazioni intercettate e registrate dalla Procura di Cagliari, finite nel faldone dei processi, conclusi con condanne pesanti: 30 anni con rito abbreviato per Ghiloubi, 21 anni per Benjedou.